LE PREZIOSE RIDICOLE liberamente tratto da Molière

LE PREZIOSE RIDICOLE liberamente tratto da Molière

con Benedicta Boccoli, Lorenza Mario, Stefano Artissunch, regia, adattamento e ideazione scenografica di Stefano Artissunch, costumi di Mario Nateri, maschere e pupi di Giuseppe Cordivari, musiche di Andrea Bianchi, organizzazione generale e distribuzione di Daniela Celani, produzione Fondazione Atlantide Teatro Stabile di Verona/Daniela Celani per Synergie Arte Teatro

(Teatro Sala Umberto – Roma, 26/30 marzo 2024)

Molière è solo un pretesto per calcare liberamente nell’avanspettacolo o music hall (più elegante) che dir si voglia attraverso canzoni d’epoca, balli e recitazione di una scalcagnata compagnia di giro assemblata con materia prima da Roccacannuccia e Capracotta. Innesco fresco pretestuoso, ensemble brillante e sfavillanti scenografie.

Il titolo può ingannare perché lo spettacolo spazia su un repertorio ammiccante agli ultimi anni della seconda guerra mondiale. La trama è appena una bozza e un innesco con la cornice (le interpreti) che sono meglio del quadro (il testo, lo sviluppo). Nelle parti di stagionate interpreti del varietà Boccoli e Mario se la cavano magnificamente auto-ironizzando sulla propria condizione, cercando (inutilmente) di non farsi vessare dal manager che è anche il creatore del testo e della regia. Si prende un po’ da tutto, incluso Petrolini con una rievocazione d’epoca che non può che piacere alla borghesia in sala. La pretesa di un messaggio è fuori dal contesto. Così la gravidanza di una delle due, incinta per colpa di un nazista non gentiluomo, è palesemente presa da La Storia di Elsa Morante. La censura che cancella le parole straniere sa di deja vu, lieve l’accenno alla censura in cui incappò Molière. E dunque quello che più colpisce è il rutilante assemblaggio, il fascino di intramontabili motivetti, la grazie delle protagoniste per una proposta calzata mani e piedi sul loro charme. Le defunte luci del varietà, quando lo spettacolo veniva gettonato unitamente a un film, nel mondo del teatro sembrano destinate a non spegnersi mai. Polvere di Stelle al cinema ammiccava a questo mondo.

data di pubblicazione:27/03/2024


Il nostro voto:

DE GASPERI, L’EUROPA BRUCIA di Angela Demattè

DE GASPERI, L’EUROPA BRUCIA di Angela Demattè

con Paolo Pierobon, Giovanni Crippa, Emiliano Masala, Livia Rossi, Francesco Maruccia, regia di Carmelo Rifici, scene di Daniele Spanò, costumi di Margherita Baldoni, luci di Gianni Staropoli, musiche di Federica Furlani. Produzione Teatro Stabile di Bolzano, La Fabbrica dell’Attore Teatro Vascello, Centro Servizi Culturali, Santa Chiara di Trento

(Teatro Vascello – Roma 19/24 marzo 2024)

Rigorosa rievocazione di una personaggio centrale nell’Italia del dopoguerra. Didattica, didascalica ma anche superbamente incisiva nel dimostrare la cronica dipendenza dagli Stati Uniti nei pregnanti dialoghi con un ambasciatore.

Il teatro ha molte strade e tante risonanze. E quando imbocca un sentiero difficile se ne assume le conseguenze. Dunque la scelta di un personaggio apparentemente dimenticato sembra infilare la scena in un difficile senso unico. Invece la cattura del senso storico, la puntuale ricostruzione dei discorsi del politico che andava negli Stati Uniti chiedendo la carità dei finanziamenti per la palingenesi italiana ha toni accorati quanto convincenti. Certo, molto è affidato alla capacità mimetica di un Pierobon capace di riprodurre fedelmente la vena cattolica di De Gasperi e il suo tentativo di indipendenza dai vincitori della guerra. Con il non sibillino riferimento alla politica petrolifera di Mattei, alla difficile dicotomia con il Partito Comunista, alla cronica avversione per i rossi e la loro utopia. Fanno da simbolo le bandiere in campo. Il bianco dei democristiani, il rosso di quelli che allora venivano chiamati bolscevichi per sottolineare malignamente la dipendenza da Mosca. Lo spettacolo dimostra eloquentemente il fallimento più che di una nazione (l’Italia) quello del progetto Europa, ventilato con tante speranze alle metà degli anni ’50, in parte spezzato dalla scomparsa dello statista di cui si parla. Una partita a bocce con un ragazzo di Matera riconduce il dibattito in termini semplici e lineari rimandando alla volontà di un popolo spesso dimenticato. Il sogno del vecchio continente oggi non è pi quello di De Gasperi e Adenauer.

data di pubblicazione:20/03/2024


Il nostro voto:

VIVIEN di Donatella Busini

VIVIEN di Donatella Busini

con Alessandro Calamunci, Ilaria Fantozzi, Caroline Pagani, Mauro Toscanelli, Massimo Zannola, regia di Mauro Toscanelli

(Teatro Lo Spazio – Roma, 14/17 marzo 2024)

Vivien Leigh e il suo doppio. Riscoperta della popolare attrice che trova finalmente pace e si ritrova grazie a una figlia che si dibatte nella difficile rieducazione in un ospedale psichiatrico. Gradevole e fedele ricostruzione di un transfert con attori multi-ruoli. Prova di scrittura e di regia per una prima di successo.

Ricordata per la parte di Rossella ‘O Hara in Via col Vento, la Leigh è colpevolmente dimenticata per una carriera teatrale importante in combinato disposto con Laurence Olivier, forse il più grande talento del passato secolo. Ma qui c’è di mezzo una misteriosa figlia che, per le dottrine degli anni ’70, viene curata con l’elettrochoc. La scena del trattamento è la più intensa e vivida dello spettacolo. L’attrice e il suo doppio, tra realtà e fantasia, tra sogno e incubo, Così l’incontro tra le due è il pretesto per rivivere un’esistenza tra alti e bassi, tra soggiorni in Italia, malattia e diverbi sentimentali. Un’abbondante ora in cui scorre tutta la sua dimenticata vita. Il crudelissimo ma capace direttore del’Ospedale Psichiatrico procede indefessamente nel suo tentativo di recupero psichico della più giovane, nello scetticismo dei suoi più immediati collaboratori. Lo spettacolo è un omaggio ad una donna fragile, vera colta e anti-conformista, qui schermata attraverso le cure psicoanalitiche della supposta figlia. Un omaggio alla storia al teatro, a una vita che non perde ragione d’essere fuori dalle tavole del palcoscenico, ribellandosi all’umana caducità. Un significativo recupero di un’attrice significativa. Valore aggiunto, gli attori che interpretano i due grandi attori sono straordinariamente somiglianti agli originali. Capace uso degli spazi su due pedane e fedele ricostruzione di un’esistenza attraverso cambi di scena e incontri con sagace uso dell’accompagnamento sonoro.

data di pubblicazione:15/03/2024


Il nostro voto:

DRIVE-AWAY DOLLS di Ethan Coen, 2024

DRIVE-AWAY DOLLS di Ethan Coen, 2024

L’unione fa la forza. Anche al cinema Ethan separato dal fratello firma un road movie che potrebbe essere quasi apparentato ai B movie. Una vacanza dal grande cinema. Un road movie in versione lesbo che non appassiona né come trama né come giallo. E il richiamo ripetuto all’omosessualità ha timbri pesanti al di là di ogni possibile moralismo.

  

La trama replica temi già visti nell’interessante filmografia battezzata dai Coen. I delinquenti maldestri, gli inconsapevoli latori di una fortuna che sfuggono a mille trappole. Dopo un avvio sanguinolento in 84 minuti la sinossi può essere ridotta a un inseguimento con nemmeno troppi imprevisti e con una conclusione frettolosa scarsamente appassionante e persino prevedibile. Non è un caso che il film abbia avuto scarsa eco negli Stati Uniti, soprattutto nei giorni degli Oscar, e un riscontro americano al botteghino davvero modesto per registi di questa portata. Il tesoro in questione è il calco di peni importanti. In ballo c’è anche un candidato alla Presidenza. La strana coppia di donne si rende conto tardi dell’importanza ricattatoria della preda. Tra gli spunti più felici del film l’abbinamento tra la spregiudicata lesbica che seduce piano piano la timida indiana e la porta progressivamente sul suo stesso terreno di spregiudicatezza. Il film insiste molto nella frequentazione di ambienti omosessuali. Non sarà contento il calcio femminile la cui immagine viene resa sessualmente unidimensionale. Il McGuffin caro a Hitchock qui viene sbandierato con lucida ripetitività. Commedia pulp intinta di vivaci cambi di inquadratura e di una tensione latente che movimenta la sceneggiatura. Aspettiamo migliori notizie in futuro: i due Coen torneranno a lavorare insieme e sicuramente sforneranno un’opera più significativa, questa ha in sapore di una vacanza dal grande cinema.

data di pubblicazione:14/03/2024


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SALVEREMO IL MONDO PRIMA DELL’ALBA, uno spettacolo di Carrozzeria Orfeo

SALVEREMO IL MONDO PRIMA DELL’ALBA, uno spettacolo di Carrozzeria Orfeo

drammaturgia di Gabriele Di Luca, con Sebastiano Bronzato, Alice Giroldini, Sergio Romano, Roberto Serpi, Massimiliano Setti, Ivan Zerbinati, regia di Gabriele Di Luca, Massimiliano Setti, Alessandro Tedeschi. Produzione Teatro dell’Elfo, Marche Teatro, Teatro Nazionale di Genova Fondazione Teatro di Napoli- Teatro Bellini

(Teatro Vascello – Roma, 5/17 marzo 2024)

Teatro italiano di massima innovazione e sperimentazione. Rappresentazione distopica dal ritmo incessante. Perlustrazione su un futuro atterrente. Gli ospiti di una clinica di riabilitazione di lusso diretti da un coach cercano di ristabilire un rapporto sano con la vita, liberandosi di dipendenze varie. Segni di un disagio esistenziale svolto tra liricità e divertimento.

 

La provocazione questa volta spara abbastanza salve nell’accumulo di troppi materiali, di un eccessivo uso di parentesi aperte e mai chiuse. Per un finale continuamente rimandato che si allarga addirittura alla fine dell’umanità. L’ambizione dello spettacolo si rifrange su un boomerang scagliato con troppa indeterminatezza per colpire un solo bersaglio. Ammirevole la tenuta degli attori per uno spettacolo che si conclude quasi a mezzanotte e che vede la più intensa partecipazione giovanile,visti gli eccellenti precedenti della compagnia, un soffio nuovo in un mainstream tradizionale. Ma la battuta per la risata fine a se stessa (la tisana al finocchio, la metafora di Adamo ed Eva, il linguaggio buffo del servitore del Bangla Desh, la gara di disegno con a tema la vagina) finisce con l’annacquare la tensione. La scrittura collettiva di tante mani attinge a un numero copioso di temi che proviamo ad enumerare: la dipendenza da cocaina, l’omosessualità con un desiderio di paternità, il business esasperato, il cambiamento climatico. L’umanità disintegrata sembra avere scarse possibilità di riscatto. Dunque l’iperrealismo mette tanta carne al fuoco in cerca di un focus in progress che si fatica a individuare. Più del finale conviene cogliere i singoli momenti che equivalgono a mini-tappe sperimentative. Un fermento che troverà nel futuro più comodo approdo.

data di pubblicazione:13/03/2024


Il nostro voto: