LASCIARSI UN GIORNO A ROMA di Edoardo Leo, 2022

LASCIARSI UN GIORNO A ROMA di Edoardo Leo, 2022

Tommaso (detto Tom) e Zoe stanno insieme da dieci anni: lui scrive romanzi con alterne fortune, lei è una Dirigente nel campo dei videogiochi ed è una donna decisa nel lavoro ma che non rinuncia alla sua femminilità; la loro storia è ad un bivio ma ad accorgersene è solo Zoe che comincia a non sopportare più tutte quelle cose di Tommaso che, molti anni prima, la avevano fatta innamorare. Ma la paura di lascarsi è più forte della voglia di stare insieme: un giorno decide di scrivere alla posta del cuore di una rivista femminile, e confessa il proprio disagio chiedendo consigli su come lasciare il suo compagno. Le risposte, da qualcuno che si firma con lo pseudonimo di Marquez, non tarderanno ad arrivare…

E bravo Edoardo Leo! Il suo film Lasciarsi un giorno a Roma (come recita anche la canzone di Niccolò Fabi sui titoli di coda), seppur sia approdato al cinema in maniera anomala dopo aver debuttato il 1° gennaio su Sky e in streaming su Now, sta riscuotendo anche nelle sale un discreto successo. L’attore, alla sua quarta esperienza da regista, per omaggiare gli spettatori che decidono ugualmente di andare al cinema al tempo del Covid, ha deciso furbescamente di raggiungerli in alcune sale della capitale alla fine della proiezione (cosa si deve fare per campare!), per farsi “intervistare” su curiosità ed aneddoti riguardanti la pellicola.

Lasciarsi un giorno a Roma, già dal titolo, parla di un amore che finisce ma l’ironia e la romanità di Leo, che ne è anche interprete assieme a Marta Nieto e ad una coppia d’assi come Claudia Gerini e Stefano Fresi, rende la pellicola leggera, spassosa, quasi come certe commedie francesi che noi italiani non sappiamo proprio fare. Nel film non c’è happy and ma neanche dramma, c’è solo la consapevolezza, neanche troppo amara, che a volte per una coppia nel momento della crisi può essere più “sano” prendere strade diverse che ri-provarci. E poi c’è Roma in tutta la sua “grande bellezza”, che diventa la splendida cornice a tutta la vicenda “…come se fosse un grande teatro romantico Dopo il lockdown Roma era deserta, e io ho visto un’altra città, pulita, meravigliosa… come una città super romantica, simile quindi a Venezia, Parigi, New York”.

Il film di Leo ha il pregio innegabile di essere vero, o quanto meno credibile, così come lo sono i personaggi, i dialoghi e le loro storie, e questo lo rende gradevole, divertente e lieve, con una sceneggiatura particolarmente attenta alle figure femminili, tutte ben tratteggiate nel loro mix perfetto di forza e fragilità al fianco di uomini che purtroppo a volte, dovendo rinunciare alla loro comfort zone, hanno come primo istinto quello di scappare più che di fermarsi a riflettere.

Potremmo dire che “ridendo e scherzando” il regista, sulle note di una fantastica versione piano e voce di Sempre e per sempre di Francesco De Gregori, ci suggerisce un modo sicuramente contemporaneo di vivere il rapporto di coppia, nel rispetto delle diversità di ognuno ma anche adeguandosi ai mutamenti individuali ed ambientali che la vita ci prospetta. Un film ingenuo e coraggioso al tempo stesso che intrattiene con un po’ di novità.

data di pubblicazione:26/01/2022


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SUPEREROI di Paolo Genovese, 2022

SUPEREROI di Paolo Genovese, 2022

Supereroi è il film perfetto per tutte quelle persone che amano il cinema solo sotto l’aspetto dell’evasione e che non hanno voglia di interrogarsi troppo (correndo magari l’atroce rischio di un responso finale negativo!), astenendosi dalla visione di storie troppo crude in questo periodo così doloroso per ognuno di noi. Ecco allora, per questo tipo di pubblico e non solo, la classica storia d’amore adatta a tutte le età, senza troppi colpi di scena e abbastanza prevedibile sul finale, seppur ben costruita, con due interpreti bravi ed una ambientazione molto “giusta”.

 

 

Milano. Marco (Alessandro Borghi) e Anna (Jasmine Trinca) si incontrano in un giorno di pioggia, mentre tentano di ripararsi sotto un portone. Lei è una fumettista, creativa e geniale, lui un insegnante universitario di fisica: due poli opposti che si attraggono inevitabilmente. Marco è un sostenitore del concetto che tutto può essere spiegato come un teorema, in maniera scientifica e razionale, anche nella vita e negli incontri personali; Anna, al contrario, è quanto di più lontano da tutto questo, impaurita dal futuro e concentrata solo sul presente (niente male come approccio alla vita, però!). Eppure i due finiscono per amarsi e crescere reciprocamente, mettendo a dura prova, ed in alcuni casi rivedendo, tutti i loro personali convincimenti.

Il concetto del film è ben espresso nel titolo: le coppie che resistono nel tempo (“una coppia è tale se dura. Altrimenti sono solo due persone che stanno insieme”), senza che il loro amore venga logorato dai segreti, dalle bugie e dai litigi, sono i veri supereroi come quelli che animano le strisce di fumetti che Anna, in arte Drusilla, disegna per il giornale per cui lavora. E così il film, girato sovrapponendo fumetti a vita reale e passato al presente nell’arco di vent’anni, ci racconta come due persone tanto diverse tra loro seppur “sprovviste di superpoteri” riescano ugualmente a sopravvivere agli imprevisti della vita, affrontando tutte le tappe della loro storia d’amore e superando tutti i problemi… o quasi.

Ambientato prima della pandemia tra Milano, Ponza, Marrakech e Copenhagen, il film sembra sospeso nel limbo dell’irreale e purtroppo non solo a causa dell’uscita tardiva, regalando (forse) un po’ di serenità per tutta la sua durata, come se stessimo sfogliando con nostalgia un album di fotografie di due persone che si sono molto amate in un tempo, in cui tutto era possibile e che ora ci sembra tanto lontano.

La dimensione del film, nonostante si parli di una coppia, è corale: un gruppo di attori supporta i due protagonisti, in cui Borghi sembra emergere (la sua imitazione del balletto di Hugh Grant in Love Actually è molto carina); degno anche di nota il cameo di Elena Sofia Ricci. Una canzone di Ultimo tratteggia i titoli di coda. Abbiamo ora/avevamo prima bisogno di questo?

Al pubblico la sentenza.

data di pubblicazione:22/01/2022


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AMERICA LATINA dei fratelli D’Innocenzo, 2022

AMERICA LATINA dei fratelli D’Innocenzo, 2022

Massimo Sisti è un dentista di Latina, con uno studio avviato, due valide collaboratrici, una villa con piscina e, soprattutto, una bella famiglia: due figlie ben educate ed una moglie amorevole. La sua vita cambia repentinamente quando un giorno scopre nella cantina di casa sua, dove era sceso per prendere una lampadina, una bambina legata e imbavagliata che chiede aiuto…

 

Con America Latina i fratelli D’Innocenzo ci traghettano in un incubo, quello in cui cade il protagonista che, forse, si dissolverà solo sul finale. In anni in cui l’isolamento e la paura sono divenuti temi universali a causa della pandemia, concordo con la definizione di una spettatrice che ha definito il film “repulsivo” perché i registi affondano il coltello in una ferita ancora aperta mettendo in scena la vita di un uomo alimentata proprio dalla solitudine, dalla paura, dall’isolamento. La storia è ambientata nella provincia laziale, tra un bar con luci al neon, cani che abbaiano dietro le inferriate, strade vuote e dissestate, una villa isolata nel silenzio assordante di un terreno bonificato che nasconde la “palude” in cui naviga il subconscio del protagonista, in un incubo fatto di amore e disperazione, di incomunicabilità e terrore da cui sembra non esserci via d’uscita. Una cantina diviene lo specchio interiore dei dissesti emotivi di Massimo (un’altra memorabile interpretazione di Elio Germano), uomo mite con una vita e comportamenti regolari, una persona tranquilla che tuttavia nasconde dei traumi (forse a causa di un rapporto burrascoso con il padre o per l’assenza di una vera e propria vita sociale avendo come unico svago delle bevute serali con il vecchio amico d’infanzia Simone), ma che l’abbraccio amorevole di sua moglie Alessandra e l’affetto delle figlie Ilenia e Laura riescono a placare.

I fratelli D’Innocenzo affrontano, dopo Favolacce, nuovamente il disagio (e la locandina ci svela già qualcosa) ma questa volta sotto un’angolatura diversa, in cui gli adulti sono protagonisti e si muovono in un contesto sociale diverso, tuttavia con la stessa algida analisi nei confronti di una società senza spessore, con una povertà interiore, dando vita ad una storia disturbante che scatena una innegabile sensazione di fastidio ed orrore, ma che ha anche il pregio di rimanere impressa nella memoria come il respiro via via più ansimante del suo protagonista.

Il film, presentato alla 78esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, è da qualche giorno nelle sale. Sicuramente un film articolato, profondo, complesso, con metafore e significati nascosti, dalla lenta elaborazione, di cui se ne consiglia vivamente la visione perché il cinema dei talentuosi gemelli D’Innocenzo è un cinema ricco di dettagli molto significativi, tagliente, nuovo, spietato e umano al tempo stesso, e che ha il rarissimo pregio di alzare ogni volta l’asticella di quel tanto per continuare a superare se stesso ed andare avanti.

data di pubblicazione:17/01/2022


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IL CAPO PERFETTO di Fernando León De Aranoa, 2021

IL CAPO PERFETTO di Fernando León De Aranoa, 2021

Blanco (Javier Bardem), è il titolare dell’omonima azienda spagnola di bilance industriali. Leader nel settore, la Basculas Blanco è famosa in tutto il paese per l’alta qualità dei suoi prodotti, ma anche per la magnanimità e la professionalità del suo proprietario che, orgoglioso dei risultati di produttività raggiunti, ha dedicato un’intera parete del salone di casa ai riconoscimenti accumulati negli anni in modo che tutti i suoi ospiti possano vederli.

  

L’unica targa mancante è il premio di Eccellenza Imprenditoriale e Blanco, pur di aggiudicarselo, stimola ripetutamente i dipendenti a seguire il suo esempio, professandosi il principale rappresentante di un lavoro duro improntato sui principi di “equilibrio e fedeltà”. L’uomo è disposto a tutto pur di accedere al prestigioso attestato, adattandosi a risolvere qualsiasi tipo di problema dei propri dipendenti affinché rimangano sempre concentrati sui propri ruoli senza distrazioni.

Scelto per rappresentare la Spagna agli Oscar 2022, il film si avvale della presenza costante e centrata di Javier Bardem nella veste insolita di questo capo goffamente onnipresente, quasi tentacolare, ruolo molto lontano dalla precedente filmografia di questo splendido interprete. Abile manipolatore delle vite degli altri, Blanco tenta in ogni modo di controllare e manovrare quelle dei propri dipendenti senza alcuna remora ma solo per il proprio tornaconto; ma inevitabilmente qualcosa andrà per storto e, alla vigilia dell’ispezione da parte della commissione per aggiudicarsi l’ultimo agognato premio, Blanco dovrà far fronte ad una seria di piccoli e grandi disastri se vorrà raggiungere l’obiettivo.

Il film, dotato di qualche guizzo tragi-comico, nonostante sia stato preceduto da lusinghieri giudizi oltre che da un notevole battage pubblicitario sui nostri canali nazionali, non mantiene le promesse risultando nel complesso inappagante. Forse perché Fernando León de Aranoa, regista di Perfect Day e Escobar, con Il capo perfetto si è concentrato (a cominciare dal titolo ed avvalendosi di un autentico mostro sacro come Bardem) nel disegnare prevalentemente un personaggio macchinatore, privo di moralità, che riesce a superare qualsiasi limite etico pur di soddisfare i propri interessi, accecato solamente dalla logica del profitto.

La commedia, a tratti pungente e con qualche spunto di metafora come la bilancia posizionata all’ingresso della fabbrica che non è mai in equilibrio e solo Blanco troverà lo stratagemma giusto per allineare i piatti, è tuttavia “sbilanciata” (tanto per restare in tema) perché costruita esclusivamente intorno al suo protagonista senza una vera e propria storia lasciando nello spettatore, assieme ad una manciata di intermittente noia, il dubbio che forse si poteva fare di più.

data di pubblicazione:23/12/2021


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È STATA LA MANO DI DIO di Paolo Sorrentino, 2021

È STATA LA MANO DI DIO di Paolo Sorrentino, 2021

Paolo Sorrentino racconta in maniera semplice, quasi scarna rispetto al suo stile, sé stesso e la sua famiglia d’origine, le sue passioni, la sua Napoli, il Napoli e Maradona, e di come a soli diciassette anni la sua vita prese una svolta inaspettata di crescita veloce e amara quando, in un solo giorno, il destino intrecciò passione e morte. Da quel momento Paolo, che nel film è Fabietto, dovrà sforzarsi di capire che essere abbandonati non è come rimanere soli perché si può comunque attingere a quel tesoro interiore, alimentato dai contesti familiari e sociali, e poterlo un giorno raccontare: “ma è mai possibile che ‘sta città nun te fa veni’ in mente niente ‘a raccunta’? A tieni qualcosa a raccunta’? E dimmella”.

 

Siamo a Napoli negli anni ottanta e Fabio Schisa (detto Fabietto) è uno studente di liceo classico che vive con i genitori Saverio e Maria, suo fratello Marchino e sua sorella Daniela, entrambi più grandi di lui. Saverio è direttore al Banco di Napoli, Maria casalinga, entrambi si interrogano su ciò che il ragazzo vorrà fare nella vita; ma Fabio, timido e impacciato come la maggior parte dei suoi coetanei, non ha delle aspirazioni precise ed osserva il mondo circostante con molta curiosità preferendo frequentare un giovane contrabbandiere che lo diverte molto o seguire le strampalate ambizioni cinematografiche del fratello che tenta, senza riuscire, di fare la comparsa in un film del grande Fellini. Il ragazzo però una certezza ce l’ha: la venerazione per Diego Armando Maradona, il “Pibe de oro”. Sono proprio quelli gli anni in cui il campione argentino verrà acquistato dal Napoli che vincerà di lì a poco lo scudetto, scrivendo la storia del calcio e di una certa napoletanità che per sempre rimarrà grata al grande campione.

Si piange e si ride, come raramente accade al cinema, in questo film in cui divertimento e tragedia, visione e realtà, superstizione e sensibilità si intrecciano, re-inventando il passato. Presentato al Festival di Venezia, dove la pellicola ha vinto il Premio della Giuria e Filippo Scotti (Fabietto) il Premio Marcello Mastroianni, È stata la mano di Dio è stato selezionato per rappresentare l’Italia agli Oscar 2022 nella sezione miglior film straniero.

La pellicola si discosta molto dalla precedente filmografia del regista partenopeo. Troviamo in essa solo in parte il mondo immaginifico e visionario di Sorrentino, soprattutto nella descrizioni di certi personaggi eccessivi come Alfredo, la Baronessa Focale, la donna più cattiva di Napoli, Marriettiello, Antonio Capuano o nel rapporto di grande affinità elettiva che Fabietto ha con la procace zia Patrizia (interpretata da una sorprendente Luisa Ranieri, bellissima e afflitta da una inconsolabile tristezza). Da lei il ragazzo (e non il solo) è sicuramente attratto, ma è anche l’unico a comprenderne il desiderio profondo di maternità che Patrizia tenterà di esaudire grazie ad improbabili incontri con San Gennaro “in persona” o alle apparizioni di un piccolo monaco portafortuna, figura esoterica della tradizione partenopea detto “O’munaciello”.

Il film è un malinconico e contagioso racconto di una vita familiare passata ma indelebile, inondata da una galleria di personaggi, alcuni veri e altri inventati o trasfigurati, come la sorella Daniela chiusa in bagno per tutto il film; una vita fatta innanzitutto di spensieratezza, allegria, di scherzi a parenti e vicini, di amore profondo per i propri genitori, ma anche di dolore sordo, di disorientamento ed abbandono. Il tutto si traduce in una sorta di confessione pubblica a posteriori, che arriva solo dopo aver ampiamente dimostrato di avere “qualcosa da raccontare” e che non fa che aggiungere interesse a ciò che Sorrentino vorrà ancora raccontarci.

data di pubblicazione:02/12/2021


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