DIECI MINUTI di Maria Sole Tognazzi, 2024

DIECI MINUTI di Maria Sole Tognazzi, 2024

“Lo sa cos’è la forza più grande dell’essere umano? La debolezza”. Maria Sole Tognazzi si cimenta nuovamente, dopo Viaggio sola e Io e lei, in un film tutto al femminile attingendo questa volta dal romanzo Per dieci minuti di Chiara Gamberale.

 

Bianca (Barbara Ronchi) viene lasciata dal marito dopo 18 anni di matrimonio. L’elemento sorpresa fa precipitare la donna in un profondo stato depressivo. Com’è potuto succedere che non si sia mai accorta dell’infelicità di Niccolò e del suo progressivo allontanamento? L’abbandono sembra essere la causa del suo stato e del suo tentato suicidio, ma le sedute con una psicologa comportamentale (Margherita Buy) fanno emergere un vuoto, una rottura interiore di tutt’altra natura. L’esercizio che la Dottoressa Braibanti propone a Bianca consiste nell’addentrarsi ogni giorno per 10 minuti in un territorio a lei sconosciuto, provando a cimentarsi in cose mai tentate prima abbandonando per quel tempo limitato la prudenza con cui ha da sempre maneggiato la sua vita. Da quel percorso terapeutico emergerà l’origine di quella crisi esistenziale che l’ha portata alla ricerca costante di protezione, anteponendo su tutto le proprie debolezze ed insicurezze.

Dieci minuti è una pellicola interessante e, rispetto al romanzo da cui è liberamente tratta, aggiunge alla ricerca della leggerezza elementi nuovi atti ad alleviare il dolore esistenziale della protagonista. Uno di questi è sicuramente Jasmine (Fotinì Peluso, bravissima), sorellastra di Bianca, coraggiosa e libera, l’emblema di ciò che ogni donna vorrebbe essere. Si potrebbe pensare ad un passaggio autobiografico inserito dalla regista, sicuramente vincente ai fini della narrazione. La sceneggiatura scritta a quattro mani con Francesca Archibugi tratta l’intera vicenda di Bianca in maniera apparentemente non consequenziale, conferendo all’intera pellicola un valore in più.

Le interpreti sono tutte molto brave e la Ronchi, dopo Fai bei sogni, torna a vestire un ruolo femminile estremamente drammatico, inserendo tuttavia in Bianca qua e là guizzi di goffa comicità.

data di pubblicazione:29/01/2024


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LA PETITE di Guillaume Nicloux, 2024

LA PETITE di Guillaume Nicloux, 2024

Il regista, sceneggiatore e attore francese Guillaume Nicloux ci parla in questo film di maternità surrogata, e di come un padre in lutto per la perdita di un figlio riesca ad instaurare un legame con la madre della sua futura nipote.

 

Fabrice Luchini ci regala un’altra delle sue magnifiche interpretazioni vestendo i panni di Joseph, un restauratore di mobili antichi che vive a Bordeaux in una casa con annesso laboratorio. Un giorno riceve la notizia della morte del figlio Emanuel deceduto in un incidente aereo assieme al suo compagno Joaquin. Nonostante il forte dolore Joseph, contrariamente ai consuoceri che reagiscono intentando una causa contro la compagnia aerea, decide di elaborare il lutto cercando di mettersi disperatamente in contatto con la donna che si era offerta di fare da madre surrogata alla coppia. Frequentatore di aste per ovvi motivi di lavoro, assertore dell’importanza della “bellezza soprattutto nei primi momenti di vita”, l’uomo decide come prima cosa di acquistare una culla dove con molta probabilità hanno dormito i figli di Klimt da neonati. Dopo, scoperto nel pc di Emanuel il nome della donna, Joseph inizierà non solo il suo viaggio verso Gant dove parrebbe vivere la giovane madre, ma anche l’avvicinamento verso quell’ unico legame reale che gli rimane con suo figlio.

Il film è sicuramente una riflessione sul fenomeno della maternità surrogata che viene intelligentemente affrontato dietro il paravento dell’elaborazione di un lutto. Sostituire la vita di un figlio trentenne con la vita di una neonata sembra essere l’unica strada percorribile per Joseph per colmare quel terribile vuoto, appianando anche i dissapori e le liti che hanno segnato le loro vite. Tuttavia, nonostante l’interpretazione vincente di Luchini, il film non lascia una forte traccia di se’. Il tema dell’utero in affitto da parte di una coppia gay fa solo da sfondo alla spasmodica ricerca attuata da Joseph della madre surrogata, autorizzandoci a pensare che la pellicola sia stata pensata prevalentemente per far risplendere il suo interprete principale. E così un impianto originale iniziale diviene nel prosieguo una storia un po’ scontata ed anche a tratti noiosa, che vanifica il vincente esordio lasciando nello spettatore un senso di incompiutezza.

data di pubblicazione:24/01/2024


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FERRARI di Michael Mann, 2023

FERRARI di Michael Mann, 2023

Presentato in occasione dell’ultima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, Ferrari di Michael Mann, con Adam Driver e Penélope Cruz, è un affresco della vita familiare del famoso imprenditore modenese in un periodo in cui si rendeva necessario, per evitare il fallimento, un decisivo cambio di rotta dell’azienda che dieci anni prima, lui e la moglie, avevano creato dal nulla.

 Michael Mann, sullo sfondo dei preparativi della Mille Miglia, porta sul grande schermo la storia personale ed intima del grande imprenditore e dirigente sportivo modenese, che fondò l’omonima casa automobilistica. Ex pilota, Enzo Ferrari costruì inizialmente con sua moglie Laura un vero e proprio impero, destinato ad entrare nella leggenda. Il film è ambientato nell’estate del 1957 dietro i fasti della Formula 1 e l’organizzazione della lunga e pericolosa corsa che attraversava l’Italia chiamata Mille Miglia. Ma in quel periodo il commendatore attraversava una profonda crisi personale a causa la fine del suo matrimonio iniziata dopo la prematura morte del loro unico figlio Dino avvenuta nel 1956 a soli 24 anni per distrofia, e dopo l’ufficializzazione di averne avuto un altro, Piero, da Lina Lardi (Shailene Woodley).

Il film è molto coinvolgente per quanto concerne i preparativi della gara, in cui le due aziende principali, Ferrari e Maserati, seppur per differenti ragioni, stanno affrontando il fallimento da cui si risolleveranno solo all’inizio degli anni ’60. Il rombo delle auto d’epoca è quello originale come le vetture stesse, e su una di queste un “biondo” Patrick Dempsey, che interpreta Piero Taruffi, taglierà il traguardo della Mille Miglia. Il regista è stato molto bravo anche nel far percepire il rischio che i piloti correvano sin da quei tempi e, chi è un appassionato di motori, potrà sicuramente cogliere quell’emozionante stato di euforia che fa vincere ai piloti il timore che qualcosa possa non andare per il verso giusto, vivendo molto intensamente proprio quel preciso istante perché la vita stessa dipende da esso.

Ma Ferrari, almeno nelle intenzioni del regista, non è un film destinato esclusivamente ad appassionati della materia, seppur la figura del commendatore non possa prescindere da ciò a cui ha dedicato tutta la sua lunga esistenza. Lo stesso Mann, in conferenza stampa a Venezia, lo ha definito un film intimo, sull’uomo, devastato dal dolore e bisognoso di un rifugio familiare che non riesce più a trovare nella sua casa. Il risultato però è una storia a tratti melodrammatica, di una persona provata, indurita, in un momento in cui i conflitti della sua vita personale collidono con quelli della sua vita professionale, che contrariamente alla intenzioni del regista risulta essere la parte più interessante del film. Adam Driver ha una presenza scenica notevole ed incarna il commendatore in maniera convincente. Risulta anche centrata Daniela Piperno, l’unica attrice italiana del cast, nel ruolo della madre di Ferrari, donna cattiva ma anche profondamente ironica, personaggio che riesce senza troppa difficoltà ad offuscare una scontata e deludente Penélope Cruz.

La pellicola, un po’ troppo americana per trattare una vicenda così tanto italiana, è tratta dal romanzo di Brock W. Yates Enzo Ferrari: The man, The Cars, The Races, The Machine.

data di pubblicazione:18/12/2023


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PALAZZINA LAF di Michele Riondino, 2023

PALAZZINA LAF di Michele Riondino, 2023

“Vi siete mai chiesti come mai accanto alla più grande acciaieria d’Europa non ci sia nemmeno una fabbrica di forchette? Il nostro acciaio serve a costruire la ricchezza di qualcun altro…”. Tra il 1997 ed il 1998 presso l’Ilva di Taranto venne praticato nei confronti di circa 80 impiegati specializzati una operazione di mobbing collettivo allo scopo di “fiaccarli”, per far accettare loro una novazione del contratto che declassava gli stipendi a salari, equiparandoli a quelli degli operai. Nel nostro paese in quegli anni si parlava poco di mobbing, ed in certi contesti non si sapeva neanche cosa fosse; oggi sappiamo che i posti in cui si manifesta con maggiore frequenza sono gli uffici e le aziende, e che nel mirino del mobber le più numerose sono le donne.

 

Ufficialmente la Palazzina LAF (acronimo di Laminatoio A Freddo) era un posto dove i proprietari e i dirigenti dell’Ilva decisero di confinare coloro che erano definiti “dei buoni a nulla”, in prevalenza impiegati a cui non andava di lavorare, a discapito degli operai che invece tutti i giorni si spaccavano la schiena negli altoforni. Per essersi dunque rifiutati di accettare una variazione delle loro mansioni, 80 di loro come punizione vennero mandati in questo luogo ad occupare stanze vuote dove un tempo c’erano dei vecchi archivi.

L’attore Michele Riondino, tarantino e figlio di un ex operaio dell’Ilva, dopo aver raccolto materiale e testimonianze per diversi anni, esordisce alla regia con questo film di denuncia presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma, di cui ha scritto anche la sceneggiatura assieme a Maurizio Braucci; Vanessa Scalera, brindisina di origine, diventata famosa per il personaggio televisivo di Imma Tataranni, ha accettato un piccolo ruolo in questo film pur di esserci “come cittadina” ed il cantante tarantino Antonio Diodato ne ha curato la colonna sonora; ad Elio Germano il compito di interpretare il direttore del personale Giancarlo Basile, viscido e senza scrupoli, mentre Riondino veste i panni di Caterino Lamanna (l’unico personaggio parzialmente inventato), un operaio convinto che i “confinati” siano tutti realmente dei lavativi da punire. Lamanna, non avendo i mezzi culturali per accorgersi che quella sorta di confino rappresentava una grave violazione della dignità dei lavoratori, farà di tutto per farsi mandare nella Palazzina LAF, contento di essere pagato senza fare nulla. Riondino si ritaglia un ruolo scomodo che però rispecchia appieno quella che ingiustamente era l’opinione che circolava in azienda a discapito di quegli impiegati che, oltre a non poter più lavorare, dovevano anche subire l’umiliazione dell’opinione di colleghi e operai, ignari che quella purtroppo era una punizione nei confronti di pochi per educare i rimanenti 12.000 lavoratori.

Palazzina LAF, oltre a rappresentare un ottimo esordio di ferma e sentita condanna civile che denuncia parallelamente anche il tema delle polveri sottili, causa di gravi forme tumorali agli abitanti d’interi quartieri della periferia tarantina e dell’abbattimento di svariate centinaia di capi di bestiame che pascolavano nelle zone limitrofe gli stabilimenti, accende anche un faro su Taranto, una città che purtroppo sta morendo piano piano.

data di pubblicazione:1/12/2023


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CENTO DOMENICHE di Antonio Albanese, 2023

CENTO DOMENICHE di Antonio Albanese, 2023

Cento domeniche è stato definito da Antonio Albanese “un film necessario” per trattare il mondo delle sue origini e puntare il dito su una politica distratta, che preferisce frequentare i talk show invece di tutelare le persone semplici, perbene, oneste, che impiegano una vita per mettersi da parte pochi risparmi, sovente frutto di un lavoro usurante, utili a realizzare un domani un sogno custodito nel cuore e nella mente, ma che un bel giorno può andare in fumo assieme il denaro che sarebbe servito ad esaudirlo, nell’indifferenza generale.

 

Antonio ha 59 anni, è in prepensionamento (“finiremo tutti in fondo ad un Fondo”), ma continua ugualmente a frequentare il cantiere nautico per insegnare, a titolo gratuito, il mestiere a qualche giovane operaio in prova. La sua vita è tranquilla: gioca a bocce con gli amici, ha una madre novantenne di cui si prende cura, mantiene un rapporto civile con la ex moglie ed ha anche una compagna “clandestina” che vede di tanto in tanto. Quando Emilia, sua figlia, gli comunica di volersi sposare, Antonio pensa che finalmente può coronare il sogno di accompagnarla all’altare, immagine che custodisce gelosamente nel suo cuore sin da quando Emilia era bambina, facendosi carico di regalarle il ricevimento di nozze che da sempre aveva immaginato per lei. Si confronta con gli amici, ne parla alla madre con entusiasmo e non vuole sentire ragioni con i futuri consuoceri, vistosamente benestanti: sarà lui ad occuparsene senza l’aiuto di nessuno. Finché un giorno un suo amico, che aveva impiegato “cento domeniche” per costruirsi mattone dopo mattone la casa dove vivere con la propria famiglia, potendoci lavorare l’unico giorno di riposo dopo un’intera settimana in cantiere, viene ricoverato in ospedale in seguito ad un malore, causato dalla notizia di aver perso i risparmi di una vita per un crack che aveva interessato alcuni Istituiti bancari, compresa la Banca dove Antonio ha investito i propri soldi.

Albanese, con grande maestria, rappresenta la vita del suo personaggio come una sorta di parabola drammaticamente discendente, vittima di qualcosa che non riesce a spiegarsi: egli proverà vergogna per essersi fidato e sensi di colpa invece che rabbia, e la condivisione che da sempre aveva contraddistinto la sua vita cede il passo all’isolamento, facendolo scivolare in un baratro dal quale non potrà rialzarsi. L’andamento lineare e sobrio della pellicola e il tema centrale della classe operaia, ha fatto apparire plausibile il paragone di questa storia con la filmografia di Ken Loach, regista, sceneggiatore ed attivista britannico che da sempre parla nelle sue pellicole di temi legati alle classi meno abbienti; così come si potrebbe accostare l’animo puro di Antonio Riva alla poetica delicata e struggente di cui sono intrisi certi personaggi che abitano le pellicole di Uberto Pasolini.

Tuttavia, “nobili” paragoni a parte, Cento domeniche ha il merito di parlare di un’Italia perbene, fatta di persone comuni che concepiscono ancora la solidarietà, l’aiuto reciproco, rappresentando un mondo fatto di strette di mano che pare essere sparito del tutto ma che un tempo esisteva, per lasciare il posto all’indifferenza in cui, nei tempi attuali, la nostra società sembra inevitabilmente precipitata. Se ne consiglia la visione.

data di pubblicazione:1/12/2023


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