PERICLE IL NERO di Stefano Mordini, 2016

PERICLE IL NERO di Stefano Mordini, 2016

Pericle Scalzone, detto “Il nero”, è un trentenne (di chiare origini napoletane) nato e cresciuto in Belgio, dove vive e, per lavoro, “fa il culo alla gente” (in una maniera alquanto singolare) per conto di Don Luigi, proprietario di numerose pizzerie e pezzo grosso della camorra. Pericle svolge per Don Luigi e la sua organizzazione i più svariati compiti, dalle intimidazioni e gesti di violenza al ritiro delle camicie in lavanderia, e, per arrotondare, ricopre piccole parti in film porno.

Durante l’ennesima spedizione punitiva per conto del boss, qualcosa va storto e Pericle firma la sua condanna a morte. Fugge, tra il Belgio e la Francia, conosce una donna che, involontariamente, gli pone davanti agli occhi una prospettiva di vita diversa, e viene a conoscenza di fatti riguardanti il passato (suo e della sua famiglia) tali da provocare in lui una vera e propria vendetta.

Unico film presente all’imminente edizione del Festival di Cannes, Pericle il nero è un buon noir, duro, crudo e violento, dal ritmo compassato, ma non per questo noioso o pesante. Buone la regia e la fotografia (particolarmente apprezzabili taluni primi piano) e, su tutte, l’interpretazione di Scamarcio, capace di dare umanità e cattiveria, compassione e determinazione (tutte allo stesso tempo) al personaggio di Pericle. La trama non è scontata sintomo di buona scrittura e lo spettatore, pur privo di importanti punti di riferimento narrativo nell’evolversi della storia, non si perde o confonde, anzi, con curiosità, segue le vicende del protagonista, dal suo sogno di vivere una vita diversa, migliore di quella attuale, alla crescente rabbia nei confronti di chi l’ha cresciuto, insegnandogli ahimé tutto quello che sa. Di notevole pregio è la sequenza notturna alla presenza di Don Luigi e di sua figlia, dove si crea una sorta di commistione ambigua tra i buoni ed i cattivi (ammesso che di buoni ce ne siano), tra i fatti ed i racconti portati dagli uni e dagli altri.

data di pubblicazione:11/05/2016


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LA COMUNE di Thomas Vinterberg, 2016

LA COMUNE di Thomas Vinterberg, 2016

La comune, nuovo film dell’autore danese Thomas Vinterberg, è stato presentato, in concorso, alla 66° edizione del Festival di Berlino, in cui Tryne Dyrholm che interpreta la protagonista, Anna si è aggiudicata l’Orso d’Argento (come migliore attrice).

Siamo negli anni ’70, a Copenaghen. La trama narra le vicende di Erik, architetto e professore universitario, sua moglie Anna, giornalista televisiva conosciuta in tutta la Danimarca, e la loro figlia Freja, studentessa quattordicenne, dopo che il primo ha ereditato l’enorme villa di famiglia (nella quale è cresciuto), situata in un quartiere chic della capitale danese.

L’impossibilità di far fronte alle spese per il mantenimento della villa portano dapprima Anna e, successivamente Erik (non senza iniziali reticenze), a decidere di condividerla con altre persone, alcune già conosciute, altre no, creando, quindi, una vera e proprio comune: le decisioni vengono prese a maggioranza e ognuno è tenuto a collaborare, mediante il pagamento di una quota d’affitto e, come più spesso accade, partecipando attivamente alle faccende domestiche.

La convivenza, così instaurata, procede a gonfie vele, con momenti di ilarità generale (particolarmente divertenti sono il tuffo in acqua da parte di tutti i familiari, rigorosamente nudi, e le chiassose cene, innaffiate da fiumi di alcool). I legami si rafforzano e il sogno idealista dei protagonisti sembra diventare realtà. Ma l’elemento destabilizzante è dietro l’angolo e, paradossalmente, non proviene dall’interno della comune, bensì dall’esterno.

Il regista, anche co-sceneggiatore, firma una commedia brillante, parzialmente autobiografica (avendo vissuto, da ragazzo, in una comune), che parte allegra e gioviale (ma non leggera) e progressivamente si incupisce, svelando risvolti molto drammatici, alcuni prevedibili, altri meno.

Ben rappresentata è l’evoluzione dei protagonisti: Erik, rinvigorito dall’esperienza della condivisione totale, sembra ringiovanire, dirigendo le proprie attenzioni verso una giovane studentessa, mentre Anna, inizialmente tollerante verso il marito (ed il suo comportamento), finirà pian piano per autodistruggersi, nell’ostinazione di portare avanti il progetto “comune”, nonostante il venir meno dei presupposti originari. Per Anna, infatti, la comune deve sopravvivere, nonostante tutto e tutti, anche se il prezzo da pagare è irragionevolmente alto.

Il ritmo è ben sostenuto e i dialoghi non appaiono mai banali, al pari dei contenuti affrontati, tra i quali spicca il diritto (?) per la famiglia allargata di assistere un componente in ospedale (tema, quest’ultimo, attualissimo in Italia).

data di pubblicazione:29/03/2016


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LA SECONDA MOSSA di Nicolò Tagliabue, 2016

LA SECONDA MOSSA di Nicolò Tagliabue, 2016

È troppo triste rendersi conto che la vita assomiglia al gioco degli scacchi, in cui basta una mossa falsa a farci perdere la partita, con l’aggravante che, nella vita, non possiamo nemmeno contare su di una possibilità di rivincita”. Con la citazione di Sigmund Freud si chiude La seconda mossa, nuovo cortometraggio di Nicolò Tagliabue, autore anche dello script, la cui trama ruota intorno ad una surreale partita a scacchi, in un contesto che pare immutato dal tempo e con un solo giocatore, il protagonista, o forse no.

Nell’equiparare la vita al gioco, in cui le scelte sono le mosse che producono effetti e conseguenze imponderabili, dalle quali è impossibile tornare indietro, l’autore fa riflettere lo spettatore e, al contempo, rende possibile l’immedesimazione nel protagonista, nelle sue paure, angosce e delusioni. La malinconia è tangibile, al pari del pessimismo (assolutamente razionale e condivisibile), accompagnata da una sinfonia che si rinnova lungo l’intera narrazione, con passo talvolta leggero, talvolta grave.

Da un punto di vista tecnico, la fotografia è pregevole, la regia solida e sicura. La seconda mossa è destinato ad un vasto circuito festivaliero, a livello internazionale, dove, a parare di chi scrive, sarà oggetto di interesse ed apprezzamento.

data di pubblicazione:26/01/2016

REVENANT – REDIVIVO di Alejandro González Iñárritu, 2016

REVENANT – REDIVIVO di Alejandro González Iñárritu, 2016

Diciannovesimo secolo, Nord Dakota (lungo il fiume Missouri). Hugh Glass (Leonardo Di Caprio) è un cacciatore di montagna, membro di una spedizione composta da circa quaranta uomini tra cui suo figlio Hawk, “mezzosangue pellerossa“, John Fitzgerald (Tom Hardy), uomo enigmatico, ostile ed aggressivo nei confronti di tutti (in particolar modo verso i nativi americani, “rei” di avergli praticato lo scalpo), ed il capitano Andrew Henry (Domnhall Gleeson) volta alla caccia ed al confezionamento di pelli e pellicce. Durante una battuta, la spedizione subisce l’attacco di un folto gruppo di indiani, che uccide gran parte degli uomini, mentre Glass, Hawk, Fitzgerald ed il capitano Henry riescono a fuggire nella foresta. Inizia così il viaggio di ritorno verso il villaggio americano, durante il quale Glass subisce l’attacco di un’orsa Grizzly (intenta a difendere i propri cuccioli) e resta profondamente mutilato, praticamente in punto di morte. Abbandonato dai compagni di viaggio, senza armi e cibo, riuscirà a rimettersi in piedi per intraprendere, in solitudine, il viaggio di ritorno a casa.

Iñárritu scrive e dirige dopo Birdman ed il suo successo a livello internazionale un film estremamente intenso, potente e realistico, vincitore di due Golden Globe (miglior film drammatico e miglior regista). Revenant – Redivivo è un film sulla violenza e sulla crudeltà, sulla sofferenza, d’animo e fisica, e sulla vendetta, ma anche sull’attaccamento alla propria terra ed alle proprie origini, e sull’amore che un uomo, Glass, prova nei confronti dell’unico figlio, pur se ripudiato e guardato con sospetto da tutti, in quanto “mezzosangue pellerossa“. L’intensità ed il realismo del film sono accresciuti dalla fotografia e dalla tecnica di ripresa, sempre zoomata e stretta sui soggetti, anche nelle sequenze particolarmente dinamiche, e dalla rappresentazione del paesaggio, duro, desolato, ma anche armonioso (in aperto contrasto, quindi, con i sentimenti umani, volti principalmente all’odio ed alla sopraffazione del più debole) che, quasi, si disinteressa della continua lotta (istintiva) tra i nativi ed i colonizzatori, americani e francesi.

Di Caprio ci regala un’altra interpretazione magistrale, particolarmente espressiva e opportunamente premiata con il Golden Globe (migliore attore in un film drammatico) e con la candidatura all’Oscar (quale migliore attore protagonista), laddove Hardy, anch’egli candidato all’Oscar (migliore attore non protagonista) è semplicemente straordinario nei panni di un personaggio complesso, vigliacco, egoista e crudele.

Revenant – Redivivo è complessivamente un film notevole. Di quelli da non perdere, in altre parole. Dodici nomination agli Oscar e, a parere di chi scrive, giustamente in corsa per ognuna di esse.

data di pubblicazione 17/01/2016


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NORMALITY di Nicolò Tagliabue, 2015

NORMALITY di Nicolò Tagliabue, 2015

Una villa immersa in un bosco, in una località indecifrabile, peraltro avulsa dal contesto storico e sociale odierno. Una madre, instabile e protettiva (interpretata da Mariella Valentini), e suo figlio Norman (interpretato da Gabriele Lazzaro), trentenne problematico ed introverso, vivono un rapporto morboso, disturbato, ossessivo e, per come la narrazione si sviluppa, pericoloso e drammatico per entrambi.

Prodotto, in maniera totalmente indipendente, dallo stesso protagonista maschile, Gabriele Lazzaro, e presentato in anteprima al ristorante “Il Margutta” di Roma, domenica 27 settembre 2015, Normality si inserisce nel solco di una manifestazione artistica e sociale che lo storico ristorante vegetariano della Capitale sta dedicando alla follia umana.

Normality è un cortometraggio intenso ed avvincente, dal ritmo incalzante (complice la regia nervosa di Tagliabue, che accresce gli effetti in termini di tensione) e con momenti riflessivi preceduti e seguiti da accelerazioni improvvise. Di particolare pregio sono alcune inquadrature (dai primi piani di bocche ed arti, alla sequenza ripresa dalle spalle di una fiamma ardente) ed alcuni dialoghi tra i protagonisti (il litigio tra Norman e la sua psicanalista su tutti). Da segnalare altresì il pregevole contributo dato a Normality da Grazia Di Michele, con l’interpretazione della sua nota canzone “Il tempio”, qui con un nuovo arrangiamento.

Chiusura sulla regia: esperta e sicura, nonostante provenga da un giovanissimo artista (25 anni d’età), peraltro già autore di interessanti cortometraggi (che si consiglia di recuperare).

data di pubblicazione 29/09/2015