PICCOLI CRIMINI CONIUGALI di Alex Infascelli, 2017

PICCOLI CRIMINI CONIUGALI di Alex Infascelli, 2017

Elia, noto scrittore di libri gialli, torna a casa dopo un periodo di degenza per aver subito un colpo alla testa che gli ha causato la perdita totale della memoria. La moglie cercherà di fargli tornare alla mente tutti gli aspetti della loro vita coniugale, aiutandolo a ricostruire un passato che in verità sembra essere completamente discorde dalla realtà dei fatti. Attraverso una serie di serrati dialoghi, all’interno del loro appartamento, la coppia troverà finalmente il pretesto per esaminare il loro rapporto che sembra andare, oramai irrimediabilmente, alla deriva… 

Piccoli Crimini Coniugali poteva avere tutte le carte in regola per diventare un piccolo capolavoro cinematografico ed invece risulta un esercizio di stile troppo (ben) costruito, pretenzioso nella sua studiata ricerca della perfezione dialogica con il risultato poi di diventare pesante, ai limiti della pedanteria. Forse eccessivamente aderente al romanzo di Eric-Emmanuel Schmitt la sceneggiatura, curata dallo stesso regista Alex Infascelli insieme a Francesca Manieri, pecca di spontaneità affidandosi quasi completamente ai ragionamenti e alle elucubrazioni dei due protagonisti, senza riuscire a conferire il giusto grado di interesse alla narrazione. Una ennesima pièce teatrale, un atto unico che vede lui e lei, marito e moglie, aggirarsi in uno spazio claustrofobico che è la loro stessa casa, troppo bella e curata per definirsi uno spazio vissuto, anch’essa intrisa di una buona dose di artificiosità al pari di chi la abita. Piccola commedia domestica noir, con la pretesa di indagare sulle dinamiche di una coppia, oramai stagionata, che si trova ad affrontare le inevitabili crisi coniugali fatte di rimproveri e di rimpianti, di gelosie e disistima, persone che si sono amate ma che ora vanno avanti per pura inerzia, in un totale reciproco disinteresse. Un gioco al massacro dove finalmente si trova il coraggio di mettere a nudo le proprie ambizioni per accusare violentemente l’altro delle aspettative mal riposte o interamente disattese. Il film manca del giusto vigore per stimolare qualche riflessione interiore sui valori del rapporto di coppia e sulla sua naturale evoluzione e lo spettatore sembra rimanere disarmato anche di fronte a quel coup de théâtre che avrebbe dovuto svegliarlo dall’inevitabile torpore che la storia e l’ambientazione infliggono inesorabilmente. Sicuramente buona la prova di Margherita Buy e Sergio Castellitto, che però si trovano loro malgrado invischiati nei dialoghi, in un labirinto di situazioni dove è veramente difficile uscirne indenni. Entrambi nella serie “In treatment”, in questi giorni in TV, risultano decisamente più credibili…

data di pubblicazione:12/04/2017


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L’AMORE RITROVATO di Carlo Mazzacurati, 2004

L’AMORE RITROVATO di Carlo Mazzacurati, 2004

Ci troviamo in Toscana nel 1936, esattamente sul litorale vicino Livorno. Giovanni (Stefano Accorsi) sposato con un figlio, per caso incontra sul treno Maria (Maya Sansa) che anni prima era stata la sua ragazza. Ritrovati dopo tanto tempo, si accorgono che i loro sentimenti non sono mutati e riaccendono una relazione molto intensa approfittando del breve periodo in cui l’uomo è stato richiamato in Marina. Un giorno Maria vede da lontano Giovanni in compagnia della moglie Gabriella (Marzia Fontana) e prende improvvisamente coscienza dell’impossibilità di continuare questo rapporto destinato a procurarle solo sofferenza. Passano gli anni e, dopo la fine della seconda guerra mondiale, i due si incontrano nuovamente e qualcosa sembra riaccendersi tra di loro anche se la situazione di Maria ora è cambiata visto che è sposata e ha anche una figlia. Il film fu presentato fuori concorso alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia ed ottenne tre nomination per il David di Donatello e una per il Nastro d’Argento. Il pubblico e la critica non accolsero molto favorevolmente il lavoro di Mazzacurati giudicandolo un puro melò sentimentale pur apprezzando la recitazione molto convincente dei due attori protagonisti. In effetti il film non rispecchia l’intensità espressiva e la passione che venivano evidenziati nel romanzo Una relazione di Carlo Cassola, da cui è tratto, anzi il registra sembra indugiare sul paesaggio esterno più che sul travaglio psicologico interno dei due amanti. Si tratta della storia di un amore ritrovato, dopo anni, che esprime poco e ricade a tratti in una banalità disarmante anche per le situazioni inesorabilmente prevedibili. La dolce campagna toscana, che s’intravede dal treno in corsa, ci suggerisce un antipasto semplice, tipico della regione: crostini ai funghi porcini.

INGREDIENTI: 1 baguette – 5 funghi porcini – 1 spicchio d’aglio – 1/5 limone – 250 grammi di brie – 3 cucchiai d’olio d’oliva – 1 mazzetto d’ erba cipollina – 1 mazzetto di prezzemolo – sale e pepe. 

PROCEDIMENTO: pulire attentamente i funghi, tagliarli grossolanamente a pezzetti e farli saltare in padella  per due minuti con un filo d’olio d’oliva e con lo spicchio d’aglio. Sistemare i funghi in una terrina e aggiungere succo di limone, olio, prezzemolo, sale e abbondante pepe. Sistemare sulle fette di pane il brie tagliato a fette e completare con la salsa di funghi. Tenere sotto il grill del forno per qualche minuto fino a sciogliere il formaggio. Servire decorando i crostini con steli di erba cipollina.

FUMO DI LONDRA di Alberto Sordi, 1966

FUMO DI LONDRA di Alberto Sordi, 1966

Dante Fontana (Alberto Sordi), antiquario di Perugia, si reca a Londra per partecipare ad un’importante asta dove è ben deciso a farsi aggiudicare una rara urna etrusca di cui già possiede l’altra copia esistente. Immediatamente affascinato dall’atmosfera di quella città, decide addirittura di mimetizzarsi tra gli inglesi indossando il tipico abito grigio, la bombetta e l’ombrello, come un vero gentleman della City. Nel corso dell’asta conoscerà una duchessa (Amy Dalby) che, dopo essersi aggiudicata il raro pezzo, lo inviterà a trascorrere un week end nel suo castello, in occasione di una tipica caccia alla volpe da lei organizzata. Nel corso del soggiorno Fontana convince la duchessa che l’urna acquistata è un falso e si offre di lavorare l’oggetto al fine di dargli una parvenza di antichità: l’esperimento non riesce e l’uomo è costretto a fuggire per evitare ritorsioni nei suoi confronti. Successivamente incontra sul treno la nipote della duchessa, Miss Elizabeth (Fiona Lewis) che lo introdurrà nel mitico mondo della “Swinging London”, a contatto con la cultura giovanile inglese di quei mitici anni sessanta. Il mondo che gli si aprirà sarà del tutto nuovo per lui e si troverà invischiato in una serie di situazioni al limite del grottesco, in una Londra in rapida evoluzione ben lontana dalle situazioni ingessate dei composti gentlemen. Il film è diretto dallo stesso Sordi, per la prima volta in veste di regista, e si rifà, per analoghe situazioni tragicomiche, ad un precedente film Il diavolo, interpretato con successo dallo stesso attore. La pellicola ebbe un discreto consenso del pubblico proprio perché in quegli anni Londra rappresentava una meta d’obbligo per i giovani hippies disinibiti e dal sesso facile. Al buon esito della pellicola contribuì la colonna sonora curata dallo stesso Sordi e la canzone “Breve amore” per lungo tempo occupò i primi posti della hit parade. L’ambiente fumoso londinese ci suggerisce una ricetta di sicuro effetto che potrà essere preparata anche per una prima colazione elegante: muffin salati allo speck e brie.

INGREDIENTI: 150 grammi di farina bianca “00”- 100 ml di latte – 8 grammi di lievito per torte salate – 60 grammi di ricotta – 150 grammi di brie – 150 grammi di speck a cubetti – 6 cucchiai di olio d’oliva – 2 uova – 3 cucchiai di parmigiano –sale e pepe. 

PROCEDIMENTO: Sciogliere il lievito nel latte tiepido, aggiungere la farina, le uova, l’olio e sbattere bene. Unire la ricotta, il parmigiano grattugiato e un pizzico di sale e pepe fino ad ottenere un composto senza grumi. Aggiungere i cubetti di speck precedentemente saltati in padella, ed il brie a tocchetti. Versare il contenuto negli stampini rivestiti con carta forno e infornare a 180° per circa 20 minuti finché i muffin saranno ben dorati.

LA VENDETTA DI UN UOMO TRANQUILLO di Raùl Arévalo, 2017

LA VENDETTA DI UN UOMO TRANQUILLO di Raùl Arévalo, 2017

MADRID, 2007. Curro è l’unico di una banda di criminali a dover scontare una pena detentiva di otto anni per una rapina, durante la quale è stata uccisa, senza apparente motivo, una giovane donna e ridotto in fin di vita l’anziano proprietario della gioielleria svaligiata. José, uomo pacato e silenzioso, inizia a frequentare il bar di periferia gestito da Ana, la donna di Curro, e da suo fratello Marcelo: entrambi lo accolgono come uno di famiglia nonostante la palese differenza sociale tra loro e José, ed Ana sembra non rimanere indifferente ai suoi modi gentili. Tra i due inizia una tenera frequentazione.

 

La vendetta di un uomo tranquillo è opera del trentasettenne esordiente Raùl Arévalo, molto conosciuto in Spagna come attore. Il film ha riscontrato un notevole interesse presso la critica cinematografica internazionale ed è stato proclamato miglior pellicola spagnola dell’anno vincendo ben quattro premi Goya (Miglior Film, Miglior Regista Esordiente, Miglior Sceneggiatura Originale, e Miglior Attore non protagonista); Ruth Dìaz (Ana) ha inoltre vinto il premio come miglior attrice all’ultima edizione del Festival di Venezia, dove la pellicola è stata presentata nella Sezione Orizzonti. Preceduto da tutti questi riconoscimenti, il film anche nelle sale sta ottenendo un ottimo riscontro da parte del pubblico forse per la sorprendente tensione adrenalinica che pervade quasi tutta la durata della proiezione. Raùl Arévalo, che ha curato anche la sceneggiatura, è riuscito a costruire un thriller degno dei grandi maestri del brivido, dove la suspance attanaglia sin dal primo momento grazie anche ad un sonoro ben appropriato, preludio di azioni inaspettate e di sconcertanti colpi di scena, in cui si innestano intelligentemente tipici interventi folkloristici spagnoli, elementi dosati al punto giusto che agiscono da contrappunto a scene violente studiate nei minimi dettagli, che conferiscono a questa pellicola un’impronta autoriale.

Il protagonista José (Antonio de la Torre), con il suo sguardo gelido e penetrante, segue alla lettera il principio che la vendetta è un piatto che va servito freddo, anche se il film lascia spazio a vaghi spiragli di perdono che aleggiano negli sguardi degli interpreti e tra le pieghe di una storia ben architettata.

La sceneggiatura riesce realmente a scrutare il travaglio interiore dei personaggi, ciascuno per proprio conto, tutti caratterizzati da un velo di sofferenza latente che non li abbandona mai, neanche per lasciare posto ad una benché minima possibilità di redenzione.

data di pubblicazione:03/04/2017


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PINOCCHIO di Carlo Collodi, regia di Roberto Gandini

PINOCCHIO di Carlo Collodi, regia di Roberto Gandini

(Teatro India – Roma, 29 marzo/ 7 aprile 2017)

Il Laboratorio Teatrale Integrato Piero Gabrielli, con i suoi giovani attori, presenta in questi giorni al Teatro India una singolare messa in scena del celebre romanzo di Collodi. Il progetto è stato organizzato e promosso dal Teatro di Roma con il sostegno dell’Assessorato alla Persona, Scuola e Comunità Solidale di Roma Capitale in collaborazione con l’Ufficio Scolastico Regionale per il Lazio. Ma Perché ci viene riproposta una ennesima rivisitazione, sia pur fedele al testo narrativo originario, della celebre favola conosciuta da tutti e tradotta in ben 240 lingue sparse per il mondo? Perché la storia del burattino costituisce oramai un classico della letteratura italiana non solo tra i ragazzi, ma anche tra gli adulti, soprattutto se ne imparano a ricavare utili insegnamenti di vita e comportamentali in generale. Pinocchio menzognero, con un naso che misteriosamente si allunga proporzionalmente all’intensità della bugia che dice, ci fa in sostanza riflettere sulla natura umana, in perenne contrasto tra ciò che si è e ciò che invece si vuole essere: le due cose infatti raramente coincidono. Un burattino di legno che aspira a diventare meno “diverso”, un bambino, come tutti gli altri, in carne ed ossa, ubbidiente ai genitori e desideroso di apprendere a leggere, scrivere e far di conto. Ma per arrivare a questo dovrà forzare la propria spontanea inclinazione perché, diciamolo pure, Pinocchio è un ribelle anticonformista che mal si piega alle regole sociali studiate dai grandi, frutto di personali convenienze e di comportamenti deviati che nulla hanno a che fare con a sua indole spensierata. Lui è un buono e buoni sono i suoi propositi mentre si trova invischiato in una realtà, con i suoi discutibili valori, intrisa di tornaconto personale e di falsa dabbenaggine. Ecco che la sua storia non cessa mai di essere attuale, qualunque chiave di lettura se ne voglia dare, e diventa pertanto un patrimonio universale per grandi e piccoli in tutte le diverse culture del mondo. Bravissimi tutti gli attori, nei costumi curati da Tiziano Iuculano e accompagnati dalla musica di Roberto Gori, che si sono mossi alla perfezione tra improvvisi e azzeccati cambi di scena, quest’ultima curata da Paolo Ferrari. Sicuramente da elogiare l’iniziativa del Teatro di Roma, nell’ambito della rassegna Il teatro fa Grande, che con questo allestimento ha rafforzato il proprio orientamento a promuovere una fattiva integrazione tra giovani attori, con e senza disabilità, qui insieme al lavoro per occupare uno spazio/palcoscenico dove ognuno possa esprimere le proprie diversità, da esternare liberamente e comunque sempre in sintonia con gli altri.

data di pubblicazione:01/04/2017


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