DON’T LOOK UP di Adam McKay – Netflix, 2021

DON’T LOOK UP di Adam McKay – Netflix, 2021

Sei mesi e 14 giorni è il tempo che resta alla Terra prima della devastante collisione con una cometa casualmente scoperta dagli astronomi Leonardo Di Caprio e Jennifer Lawrence. Inizia da parte dei due una corsa contro il tempo per convincere prima la Presidente degli USA (Meryl Streep) e poi l’opinione pubblica ad organizzare una qualche reazione. Sulla ragione scientifica prevalgono però la stupidità, gli intrighi della Politica, la capacità manipolatoria e gli interessi dei Media televisivi e della Grande Industria. Nessuno sembra credere agli allarmi poi, però, prevarranno altre opzioni …

 

Adam McKay, regista e sceneggiatore statunitense, vincitore nel 2015 dell’Oscar per la Migliore Sceneggiatura con il suo La grande scommessa, è un autore originale e poliedrico. Dalle iniziali commedie dalla comicità un po’ grossolana e demenziale è passato con successo ai più recenti film impegnati come, per l’appunto, La grande scommessa e Vice – L’uomo nell’ombra (2019), mantenendo sempre la sua peculiarità stilistica di saper dipingere gli Stati Uniti in modo satirico e caustico, denunciandone vizi e devianze. Con quest’ultimo suo lavoro ritorna con esiti apprezzabili ai suoi primi anni e, giocando abilmente con i codici del genere catastrofico e disaster-movie, ci regala una commedia feroce ed al vetriolo. Una farsa cupamente divertente con la quale stigmatizza gli effetti perversi della stupidità collettiva sul Sistema, l’alienazione delle masse tramite i Social, la superficialità dei politici, la seduzione manipolatoria dei Media e dei falsi Guru dell’Industria.

Lo spunto iniziale, serio e tragico, sotto l’abile scrittura e la dinamica regia di McKay si trasforma ben presto in una coinvolgente e graffiante satira della politica americana e dell’America stessa che appare divisa tra coloro che “guardano su” e coloro che “non guardano su”. Masse credulone e manipolabili di cospirazionisti, negazionisti e populisti, tutti alla fine egualmente strumenti di opposti interessi. Una tragicomica allegoria ove la Cometa, in realtà, potrebbe essere il crescente cambiamento climatico o anche il virus ed il messaggio essere l’incapacità di reagire collettivamente davanti a una crisi comune perché tutti noi siamo accecati dai filtri creati dagli egoismi e dagli interessi degli opposti Poteri.

Al cinefilo non sfuggiranno i richiami ad illustri precedenti come Il Dottor Stranamore, Mars Attacks, Armageddon, 1941, La Guerra dei Mondi e Quinto Potere e tanti altri ancora, meno autorevoli e nobili. La personalità della direzione di McKay, il suo ritmo narrativo, il montaggio serrato, le modalità di recitazione imposte agli attori, supportate da un’ottima sceneggiatura, producono un film del tutto originale, forse non perfetto ma sicuramente buono. Un film ottimamente interpretato dalla coppia di protagonisti e, con loro ed attorno a loro, un cast di altre stelle, il fior fiore di Hollywood, tra cui spiccano, oltre a Meryl Streep, la splendida Cate Blanchett e Timothée Chalamet.

Don’t look up è una satira surreale e folle che, pur tra qualche eccesso e qualche tratto prevedibile, risulta divertente. Un all star movie ambizioso, assurdo, malinconico ma anche comico e intelligente. Un buon prodotto di intrattenimento che ci fa riflettere. Come sempre ci sarà chi lo apprezzerà e chi lo detesterà anche se, ricordatevelo, circolano già pronostici per una serie di sue candidature agli Oscar.

data di pubblicazione:30/12/2021


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DIABOLIK dei Manetti Bros., 2021

DIABOLIK dei Manetti Bros., 2021

La fittizia Clerville degli Anni ’60… Diabolik, il Re del Terrore in calzamaglia nera (Luca Marinelli), incontra per la prima volta Eva Kant (Myriam Leone), ricca ereditiera e proprietaria di un prezioso diamante. Gli eventi avranno però sviluppi inattesi. Si susseguono storie di furti, inseguimenti, evasioni e vendette che l’ispettore Ginko (Valerio Mastandrea) cercherà di bloccare…

 

 

Diciamolo subito, il Diabolik dei Manetti Bros. è un film che sicuramente dividerà la Critica “paludata e non” ed anche il pubblico tra coloro (pochi?) che lo apprezzeranno e coloro (tanti?) che ne saranno invece delusi. Un film che sarà giudicato, senza vie di mezzo, un’operazione ben riuscita oppure un assoluto fallimento!

Si tratta in effetti di una trasposizione cinematografica destinata prevalentemente a tutti quelli che hanno amato, amano o almeno conoscono l’universo nato dalla fantasia delle sorelle Giussani nel 1962 e le avventure di Diabolik che ebbero un enorme successo popolare nell’Italia di quel decennio e oltre, segnando la storia del fumetto. Non aspettatevi perciò un film con ritmi, tempi, tensione, recitazione dei film di genere o degli action-movie americani, resterete sconcertati e delusi. Al contrario, vi troverete in una perfetta trasposizione vintage, filologicamente aderente ai personaggi ed al mondo degli albi originali, molto lontani quindi dai gusti del grande pubblico cinematografico attuale.

Un’operazione intelligente ma molto intellettuale, molto da cinefili e da appassionati dei fumetti d’epoca. Proprio per questo il film realizza alla perfezione quella sospensione dell’incredulità che è poi la stessa che si prova leggendo le storie di Diabolik.

I Fratelli Manetti sono evidentemente dei grandi fans delle Giussani e si sono assunti l’arduo e stimolante compito di realizzare (dopo l’unico, mitico tentativo di Mario Bava nel 1968, un insuccesso cult) una trasposizione cinematografica del tutto nuova – ma anche calligraficamente fedele – delle storie, dei personaggi, dell’agire e dialogare del fumetto. Un’operazione realizzata con una precisione minuziosa, quasi chirurgica, in tutti i dettagli, con oggetti, atmosfere, ricostruzioni e ambientazioni di interni e di esterni che assemblano differenti scorci di diverse città italiane.

Il ritmo del film non è sempre sostenuto ed a tratti è anche discontinuo ma tutto ciò è voluto, è una scelta ben precisa degli Autori! I tempi dilatati, la lentezza, i movimenti controllati, i dialoghi quasi didascalici o artificiosi, la recitazione degli attori quasi da fotoromanzo sono tali proprio per restituire intenzionalmente sul grande schermo tutto l’effetto delle tavole disegnate, quasi una bidimensionalità ricercata. Le atmosfere, i colori non-colori, gli ambienti urbani notturni, gli angoli bui ove si nasconde Diabolik sono proprio quelli degli albi, quelli di un immaginario nato sotto l’ispirazione dei polizieschi americani degli anni ’40 e ’50 e dei noir francesi, un mondo in bianco e nero. Un esercizio di stile per ricreare l’originale senza mai cadere in banali cliché.

Gli attori sono tutti nel ruolo e recitano secondo la logica e con movenze, espressioni e rigidità che rimandano ai fumetti. Bravo Marinelli, ottimo Mastandrea, ma su tutti primeggia la splendida ed enigmatica Myriam Leone, con palesi richiami alle bionde glaciali ed ambigue che tanto piacevano ad Hitchcock, di cui sono evidenti le citazioni.

Dunque Diabolik farà sicuramente discutere. Operazione riuscita, se la si vuole leggere come un omaggio a un certo tipo di noir, di storie a fumetti o a quei polizieschi italiani degli anni ‘60/’70. Fallita, invece, se si cerca nel film solo intrattenimento ed azione hollywoodiana.

Per chi ama il Cinema, credo che sia comunque un film che meriti di essere visto. Una volta accettati i suoi presupposti potreste anche apprezzarlo!

data di pubblicazione:19/12/2021


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LA SIGNORA DELLE ROSE di Pierre Pinaud, 2021

LA SIGNORA DELLE ROSE di Pierre Pinaud, 2021

Eve (Catherine Frot), rinomata coltivatrice e creatrice di rose, per salvare la propria piccola azienda familiare ormai prossima alla bancarotta, schiacciata com’è da competitori più organizzati di lei, tenta di creare una nuova varietà di rosa. Ingaggia tre improbabili coadiutori in contratto di reinserimento sociale, del tutto sprovveduti in campo florovivaistico. Una strana coabitazione di caratteri, ma il Caso creerà delle opportunità del tutto imprevedibili…

 

 

Come talora accade, la magia di alcuni piccoli film francesi è tutta nella loro capacità di arrivare a trasmettere – al di là delle trame più o meno esili – emozioni e sentimenti. Così come la musica riesce a dare sensazioni con la sola armonia dei suoni, certi film riescono a scaldare i cuori degli spettatori con la sola forza delle immagini e della recitazione.

È il caso del film di Pinaud, la sua opera seconda. Un film che sembra venire da lontano, da un’epoca in cui al cinema si potevano vedere non solo film che raccontavano le vicende della Vita, della vita nella sua cruda realtà, ma soprattutto film che consentivano di sognare e donavano la possibilità di pensare che le cose potessero anche andare a finire bene.

Una piccola commedia, però più profonda di quel che può sembrare, sincera, toccante, ironica ed a tratti affascinante pur nella sua semplicità. Per l’appunto, un buon piccolo film del Cinema di una volta. Un film che al di là dei buoni sentimenti riesce a toccare con sensibilità, humour e tenerezza anche temi profondi: il senso dell’accudimento e dell’impegno, il ruolo del Caso nella vita, l’abbandono affettivo e il valore delle relazioni umane. Piccole sottostorie che il regista saggiamente si limita ad accennare per poi lasciarle andar via, quasi come volesse solo conservarne nell’aria la fragranza. La regia e la messa in scena – assistite da buona sceneggiatura e dialoghi ben cesellati – sono sobrie e classiche, però con qualche piccola, geniale e divertente intuizione. Al centro del film è Catherine Frot che primeggia su tutti con un’interpretazione impeccabile, con lei ed intorno a lei un quartetto di attori che caratterizzano perfettamente i loro personaggi.

La Signora delle Rose è un film gradevole e charmant, sicuramente un feel good movie, senza però essere lacrimoso, stucchevole o manicheo. Un piccolo film sensibile, come i petali delle rose, ma al contempo forte come il loro profumo che può anche restarci dentro per un bel po’.

data di pubblicazione:12/12/2021


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2034 – IL ROMANZO DELLA PROSSIMA GUERRA MONDIALE di Elliot Ackerman e James Stavridis – SEM Editore, 2021

2034 – IL ROMANZO DELLA PROSSIMA GUERRA MONDIALE di Elliot Ackerman e James Stavridis – SEM Editore, 2021

Appena poche settimane fa commentando qui un libro di Geopolitica, accennavamo a quanto la Geografia, nel passato come per l’avvenire, sia uno dei fattori chiave che condizionano le scelte politiche dei vari Stati, soprattutto in un’epoca come la nostra in cui si sta ritornando ad un mondo “multipolare”. Un mondo dominato dalla rivalità fra poche grandi Potenze. Se il XX secolo è stato il Secolo Americano, per molti analisti, probabilmente, il XXI secolo sarà invece il Secolo Cinese. Quindi, nello scenario politico attuale Cina e Stati Uniti non sono solo concorrenti strategici ed economici ma sembrano anche essere proiettati verso una competizione che potrà portare ad uno scontro o ad un conflitto inevitabile. Inevitabile? Parrebbe proprio di sì! Perché da sempre, quando una potenza emergente minaccia di spodestare quella dominante, il risultato più probabile è un conflitto.

Preceduto dal tam-tam del grande successo di critica, di lettori e di dibattiti fra analisti negli Stati Uniti, ecco uscire fresco di stampa anche in Italia 2034, il Thriller/Saggio che ci dice anche quando, dove e come avverrà questo conflitto fra Cina ed America. Avverrà per l’appunto nel 2034, nel Pacifico Occidentale o Mar Cinese Meridionale, cioè intorno a Taiwan a seguito di una sequenza di errori di valutazione che porteranno alle peggiori conseguenze e, soprattutto, grazie al possesso di tecnologie in grado di introdursi nelle strutture informatiche dei sistemi di difesa ed attacco dell’avversario. Si sa, quasi sempre, le ragioni scatenanti i conflitti sfuggono ad ogni logica e ad ogni deterrente se non a quello della “mutua distruzione”. Ma le tecnologie emergenti possono rendere obsoleto e bloccabile un certo tipo di Potere. Se infatti una delle potenze in competizione dovesse riuscire a trovarsi in vantaggio nella corsa alle innovazioni tecnologiche ed alle armi informatiche, la Politica potrebbe non aver più la forza di controllare le dinamiche e si potrebbe dover cedere il passo alla guerra, alla futura Cyber Guerra.

I due autori hanno tutti i titoli per poter scrivere di tali argomenti: Stavridis, ex ammiraglio, è stato comandante delle forze NATO in Europa; Ackerman (prima di divenire uno scrittore di discreto successo) ha operato sul campo con i marines e con le forze speciali USA, entrambi hanno poi lavorato alla Casa Bianca occupandosi di Sicurezza Nazionale. Sanno di che cosa scrivono, e… scrivono quasi volessero lanciare un monito per quel che potrà accadere!

Si farebbe un torto enorme a voler far passare 2034 per un’opera destinata solo e soltanto a militari, a storici o analisti di geopolitica! Tutt’altro, in realtà si tratta di un libro accessibile a tutti e che può essere letto come un romanzo, un thriller o una fiction su un’eventualità che non è affatto remota. Una fiction ben orchestrata in un universo prossimo venturo immaginario, ma molto probabile e verosimile, perché è verosimilissimo che ci siano certi sviluppi di nuove armi tecnologiche e che le tensioni fra Pechino e Washington siano destinate a crescere sempre di più. Un approccio originale, un’analisi brillante, scritta a 4 mani con prosa scorrevole, competenza e capacità di coinvolgimento. Una lettura attualissima, piacevole ed anche un’opportunità per riflettere. Agli appassionati potrà senz’altro ricordare certi lavori di cui è stato insuperabile creatore lo scomparso Tom Clancy, ma, mentre in quest’ultimo, per quanto accurato e dettagliato fosse, prevaleva scientemente l’elemento romanzesco, in 2034 il brivido è dato invece dal dubbio che possa trattarsi di una realtà futura.

data di pubblicazione:06/12/2021

IL POTERE DEL CANE di Jane Campion, 2021

IL POTERE DEL CANE di Jane Campion, 2021

Montana 1925, i fratelli Phil (Benedict Cumberbatch) e George Burbank (Jesse Plemons) dirigono uno dei più vasti allevamenti del Territorio. I loro caratteri ed aspetti fisici sono diametralmente opposti. Il primo, pur colto, ostenta atteggiamenti rudi, collerici esteriormente virili e rozzi, il secondo è timido e gentile. Quando quest’ultimo sposa la dolce ma fragile Rose (Kirsten Dunst) giovane vedova e madre di un adolescente sensibile ed effeminato e li porta a vivere nel ranch, Phil reagirà contro gli intrusi con una strategia sottile, sadica, spietata ed ambigua, fino a ….

 

Finalmente dopo 12 anni di assenza ecco tornare Jane Campion. Presentato a Venezia ove ha vinto il Leone d’argento per la regia, quest’ultimo lavoro della cineasta neozelandese ci conferma che il suo talento, la sua mano, la sua delicatezza espressiva non si sono affatto affievoliti. Tutt’altro!!

Diciamolo subito, a scanso equivoci, il film non è affatto un western, semmai è un finto western in cui la Campion destruttura i codici del genere e ne usa gli sfondi naturali per disegnare un vasto dramma psicologico dalle molteplici sfaccettature. Un dramma fra mascolinità torbida ed esteriore e dissidi interiori e repressi. La regista risuscita certo alcuni stilemi tipici del vecchio western classico ma non ci sono però pistoleri, scazzottate o duelli, il mito del cowboy è riportato alla sua realtà originaria di vaccaro, di allevatore e di proprietario terriero. La Campion però è indubbiamente innamorata del genere e, senza forzature nostalgiche, sa disseminare il film di riferimenti e citazioni dei grandi registi (John Ford in primis) che fanno la gioia degli appassionati e che servono alla regista per far notare i segni e le tematiche della modernità che avanza inesorabile. Un confronto fra la fine di un’epoca che è già leggenda e l’affermazione definitiva della nuova era.

Come sempre nei suoi film, la messa in scena della Campion è splendida ed è capace di catturare tanto la maestosità e la vastità degli ambienti che sovrastano uomini, cose ed animali (un Montana tutto neozelandese) quanto la bellezza dei dettagli. Il grande ed il piccolo in una simbiosi che si ritrova in tutto il film e che, a tratti, ricorda il migliore Terrence Malick. Tutto assume importanza ai fini della narrazione, soprattutto i dettagli!! La fotografia poi è splendida, un lavoro su luce e colori che va ben al di là del mero estetismo. Un film da vedere sul grande schermo! peccato che sia passato in sala solo per due settimane prima di essere messo in onda su Netflix.

Il Potere del Cane è un bel film ma è complesso e denso di simboli e significati, un film intimista in cui il non detto, l’accennato è più che rilevante, la suggestione è più importante del manifesto. Un’eccezionale analisi dell’animo umano e delle sue ambiguità. La regista nel farlo si prende i suoi tempi e governa magistralmente tutta l’evoluzione della storia usando ritmi lenti, una sinfonia in crescendo, quasi una tensione trattenuta, senza mai però perdere vigore, restando sempre coinvolgente. Il racconto è diviso in capitoli che seguono il corso dei fatti, delle stagioni e l’evoluzione dei personaggi ed i rapporti fra loro. Ben lungi dal tener lontano lo spettatore tutto ciò, al contrario, lo avvolge e lo coinvolge piano piano, nel sottile ingranaggio e nel gioco perverso dei protagonisti fino a quando, alla fine, le apparenze si dissolvono.

Ulteriore punto di forza del film è poi anche l’ottima performance del quartetto di attori. Al centro e su tutti brilla Cumberbatch. Assolutamente una delle sue migliori interpretazioni tutta giocata sul non esplicito, sul gesto, sulla sfumatura e sull’intensità. L’attore domina il film con la sua presenza.

Pur senza eguagliare i precedenti capolavori della Campion, Il Potere del Cane è senza dubbio un film di autentica elevata qualità, non certo facile, direi impegnativo ma affascinante. Un film in cui la Campion si conferma eccelsa maestra nel fondere gusto estetico, grande spettacolo e studio dell’essere umano.

data di pubblicazione:03/12/2021


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