INDIVISIBILI di Edoardo De Angelis, 2016

INDIVISIBILI di Edoardo De Angelis, 2016

Viola e Dasy sono due bellissime gemelle siamesi di Castel Volturno, nate l’una unita all’altra all’altezza del bacino e indivisibili nell’anima ancor più che nel corpo. Nel Casertano sono diventate due piccole dive della musica neomelodica, sfruttate e trascinate dai genitori da una festa all’altra, compleanni comunioni e serenate a pagamento, per dare spettacolo con esibizioni canore messe in piedi dal padre e per sfoggiare quella malformazione affascinante e anomala che, in un misto di superstizione e mito, fa di loro due creature a metà strada tra i freaks circensi e le sante da venerare.


Presentato con successo alle “Giornate degli autori” in occasione della 73. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, il nuovo film di Edoardo De Angelis è una favola a tinte cupe, adrenalinica e commovente, che cala con equilibrata ambizione nel contesto fin troppo crudo e realistico della cosiddetta “terra dei fuochi” la surreale parabola ascendente di due gemelle che tentano di emanciparsi da quel legame fisico che le tiene unite e, metaforicamente, dal degrado sociale e culturale del loro ambiente familiare.

Viola e Dasy, appena scoprono all’età di diciott’anni che i loro corpi possono essere separati attraverso un costoso intervento chirurgico, manifestano da subito due reazioni opposte, rivelando caratteri diversi e complementari. Dasy, più ribelle e intraprendente, vuole poter vivere una vita vera e normale, liberarsi da quel fardello grottesco dei due corpi uniti, sogna di fare l’amore con un uomo, “perché sono femmina”. Riesce perciò a trascinare la sorella, Viola, più timorosa e impacciata, in una fuga disperata alla ricerca dei soldi necessari per poter affrontare l’operazione. Tra colpi di scena e immagini dal forte impatto visivo, il film scivola come acqua corrente e le due protagoniste diventano sempre più indivisibili e indispensabili l’una all’altra, dimostrando di provare le stesse emozioni e di sapersi sostenere a vicenda, fino all’inaspettata, travolgente e impeccabile sequenza finale.

Un cast fenomenale, anche se a tratti un po’ sopra le righe in alcune espressioni, verbali e fisiche, troppo marcate: oltre alle riuscite interpretazioni di Massimiliano Rossi e Antonia Truppo nei panni dei genitori, brillano per bellezza, bravura e fragilità, come due gemme grezze piene di vita, le sorelle gemelle Angela e Marianna Fontana. Edoardo De Angelis si conferma un ottimo regista, come ottima è la squadra (sceneggiatori, compositore, costumista e scenografo) di cui si è avvalso, capace di conquistare lo spettatore con storie costruite come vere e proprie tragedie contemporanee raffinate e insieme pop.

data di pubblicazione:28/09/2016


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LA REGION SALVAJE di Amat Escalante, 2016

LA REGION SALVAJE di Amat Escalante, 2016

(73. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia 2016)

In un bosco della campagna messicana, a pochi metri da dove sarebbe caduto anni prima un meteorite che ha scatenato le pulsioni sessuali di tutti gli esseri viventi della zona, una coppia di cinquantenni tiene nascosta in un capanno una misteriosa creatura aliena politentacolare in grado di regalare all’essere umano il massimo piacere sessuale, sotto qualsiasi forma e per tutti i gusti, alimentandone via via l’appetito fino alla totale dipendenza fisica, allo sfinimento e all’inevitabile atto finale.

Amat Escalante, premiato per la Miglior Regia a Cannes nel 2013 con il discusso Heli, torna, questa volta gareggiando in concorso al Lido, a raccontare e mescolare, con immagini crude e a tratti raccapriccianti, alcune tematiche psicologiche e sociali di una certa attualità, quali la repressione dell’omosessualità e della sessualità in genere, la solitudine dell’uomo contemporaneo e la disgregazione dei modelli relazionali umani, tentando di traslarli e sradicarli dalla realtà messicana per darne una lettura più universale ed esistenziale.

Vero, una ventenne dall’aria triste e misteriosa, già preda compiaciuta del piacere assoluto del mostro tentacolare, riesce a portare nel capanno tra gli alberi altre due persone, un ragazzo (gay) prima e sua sorella poi, il cui marito, omofobo e violento, la tradiva proprio con il fratello. Il mostro si rivela una creatura tanto generosa nel dispensare sesso e godimento, cancellando nei propri “partner” qualsiasi inibizione o frustrazione, quanto spietata nell’uccidere alcuni di loro, (forse) quelli che diventino dipendenti e assuefatti in via esclusiva ai rapporti con lui.

Il film è una confusa allegoria che prende in prestito alcuni elementi all’horror, al thriller e al sci-fi, per dar vita a un genere nuovo fuori dagli schemi, in linea con le tendenze del cinema messicano contemporaneo. Se gli intenti sono tutto sommato buoni e promettenti, la storia tuttavia prende presto una piega noiosa, perdendosi tra idee, sia a livello di plot sia di contenuti ideologici sottesi, che restano spunti incompiuti. Il risultato finale è un film che, pur disturbando lo spettatore con scene inquietanti e al limite del disgusto, non lo sconvolge nel profondo come vorrebbe, lasciando tanti, troppi, quesiti aperti.

data di pubblicazione: 08/09/2016







INDIVISIBILI di Edoardo De Angelis, 2016

INDIVISIBILI di Edoardo De Angelis, 2016

(73. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia 2016)

Viola e Dasy sono due bellissime gemelle siamesi di Castel Volturno, nate l’una unita all’altra all’altezza del bacino e indivisibili nell’anima ancor più che nel corpo. Nel Casertano sono diventate due piccole dive della musica neomelodica, sfruttate e trascinate dai genitori da una festa all’altra, compleanni comunioni e serenate a pagamento, per dare spettacolo con esibizioni canore messe in piedi dal padre e per sfoggiare quella malformazione affascinante e anomala che, in un misto di superstizione e mito, fa di loro due creature a metà strada tra i freaks circensi e le sante da venerare.

Presentato con successo alle “Giornate degli autori” in occasione della 73. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, il nuovo film di Edoardo De Angelis è una favola a tinte cupe, adrenalinica e commovente, che cala con equilibrata ambizione nel contesto fin troppo crudo e realistico della cosiddetta “terra dei fuochi” la surreale parabola ascendente di due gemelle che tentano di emanciparsi da quel legame fisico che le tiene unite e, metaforicamente, dal degrado sociale e culturale del loro ambiente familiare.

Viola e Dasy, appena scoprono all’età di diciott’anni che i loro corpi possono essere separati attraverso un costoso intervento chirurgico, manifestano da subito due reazioni opposte, rivelando caratteri diversi e complementari. Dasy, più ribelle e intraprendente, vuole poter vivere una vita vera e normale, liberarsi da quel fardello grottesco dei due corpi uniti, sogna di fare l’amore con un uomo, “perché sono femmina”. Riesce perciò a trascinare la sorella, Viola, più timorosa e impacciata, in una fuga disperata alla ricerca dei soldi necessari per poter affrontare l’operazione. Tra colpi di scena e immagini dal forte impatto visivo, il film scivola come acqua corrente e le due protagoniste diventano sempre più indivisibili e indispensabili l’una all’altra, dimostrando di provare le stesse emozioni e di sapersi sostenere a vicenda, fino all’inaspettata, travolgente e impeccabile sequenza finale.

Un cast fenomenale, anche se a tratti un po’ sopra le righe in alcune espressioni, verbali e fisiche, troppo marcate: oltre alle riuscite interpretazioni di Massimiliano Rossi e Antonia Truppo nei panni dei genitori, brillano per bellezza, bravura e fragilità, come due gemme grezze piene di vita, le sorelle gemelle Angela e Marianna Fontana. Edoardo De Angelis si conferma un ottimo regista, come ottima è la squadra (sceneggiatori, compositore, costumista e scenografo) di cui si è avvalso, capace di conquistare lo spettatore con storie costruite come vere e proprie tragedie contemporanee raffinate e insieme pop.

data di pubblicazione: 08/09/2016








WEEKEND di Andrew Haigh

WEEKEND di Andrew Haigh

Il bellissimo Weekend, distribuito in Italia dopo ben cinque anni dalla sua uscita ufficiale, torna in sala il 17 maggio per la Giornata internazionale contro l’omofobia, per raccontare la magia dell’amore attraverso una storia di intimità tra due ragazzi alla ricerca di se stessi.

Russell e Glen si incontrano una sera in discoteca e passano la notte insieme. La mattina al risveglio i due iniziano a conoscersi, ripercorrendo con la mente quel che ricordano della nottata trascorsa e rivelando da subito caratteri e storie diversissime alle spalle. Glen all’apparenza più risolto e cinico, ironico e testardo. Russell docile e timido, romantico e insicuro. Entrambi sembrano disincantati sull’amore, il primo per una precedente relazione fatta di bugie e tradimenti, il secondo per un’incapacità di accettarsi appieno forse a causa dell’assenza di un legame coi genitori.

Andrew Haigh è un maestro e un poeta delle relazioni umane. In 45 anni ha messo a nudo, con l’espressività istintiva degli sguardi di Charlotte Rampling e un crescendo di emozioni soffocate che si scartano lentamente, le verità e i turbamenti di una coppia di anziani. Nelle due stagioni della serie tv per HBO Looking (da cui è stato tratto un film per il cinema di prossima uscita) Haigh, riprendendo proprio le atmosfere e i toni di Weekend, ha raccontato il mondo di tre amici gay a San Francisco, con una sceneggiatura fresca e realistica modellata su personaggi costruiti meravigliosamente.

Il fascino di Weekend sta proprio nella scrittura dei dialoghi diretti, teneri e spiazzanti, oltre che nell’interpretazione autentica dei due protagonisti, Tom Cullen e Chris New, che ci trascinano dentro i loro abbracci e il loro innamoramento anche grazie a una regia sensibile che fotografa la nascita e la crescita spontanea di un rapporto senza forzarne i tempi o invaderne bruscamente la più profonda intimità.

Altrettanto eloquenti sono gli sguardi e i momenti di silenzio tra i due, che si fanno sempre più densi di quell’alchimia, fisica e metafisica insieme, che quando scatta diviene scopo e motore dell’esistenza.

In sole quarantott’ore di strada percorsa insieme Russell e Glen sembrano trovare ciascuno una chiave di lettura per la propria vita, riprendendo a credere negli altri e in se stessi e riscoprendo la forza inarrestabile e catartica dell’amore. Quel che resta alla fine è un piccolo registratore con cui Glen ha fissato per sempre le parole e le risate scambiate con Russell. Forse sarà solo il ricordo dolce e nostalgico di un weekend insieme, un altro segno sul cuore. Forse invece porterà con sé, come ennesima tappa di mezzo di un percorso che non finisce mai, l’entusiasmo e la voglia di ricercare il nostro posto nell’universo, tanto da farci sognare di andare a vivere su Marte “where green rivers flow, and your sweet sixteen is waiting for you after the show”, come canta sui titoli di coda John Grant con I wanna go to Marz.

data di pubblicazione:15/05/2016

I GIGANTI DELLA MONTAGNA di Luigi Pirandello, regia di Kira Ialongo

I GIGANTI DELLA MONTAGNA di Luigi Pirandello, regia di Kira Ialongo

(Teatro dell’Orologio – Roma, 20 gennaio/1 febbraio 2015)

Alcuni giovani attori della scuola romana di recitazione Teatro Azione, guidati dalla regia visionaria di Kira Ialongo, hanno portato in scena una tra le più complesse opere di Pirandello.

Rimasta incompiuta a causa della morte dell’autore, I giganti della montagna presenta i tratti di un vero e proprio testamento artistico, mettendo insieme alcune tra le principali componenti del teatro pirandelliano. La Ialongo ha deciso di affrontare una sfida non facile, scegliendo di rimanere fedele al testo originale, pur con alcuni necessari tagli, e lavorando molto sulle atmosfere e sulle suggestioni visive e musicali.

Alle difficoltà di un testo già denso di significati, metafisico, in bilico tra vita terrena e aldilà, si aggiunge, infatti, una linea narrativa molto articolata, in cui si incontrano e sovrappongono due comunità di esseri umani, gli “scalognati”, da un lato, e la compagnia della contessa Ilse, dall’altro; i primi accomunati da uno stato di emarginazione sociale e alienazione individuale, i secondi un gruppo di personaggi che hanno perduto per sempre il loro autore, morto suicida, e sono ora “in cerca di un pubblico” a cui poter raccontare La favola del figlio cambiato (altra opera dello stesso Pirandello).

Perfetta la realizzazione di un metateatro portato qui alle sue estreme conseguenze, in cui i personaggi scavallano i più tradizionali binomi di vita-teatro, realtà-finzione, calandosi anche nella dimensione onirica e attraversandola fino a divenire, senza accorgersene, spiriti dell’aldilà, come sembra sussurrare alla contessa Ilse, in preda al terrore, la tenera Sgricia (interpretata in modo eccezionale da Francesca Ceci).

Un’opera di realismo magico che strizza persino l’occhio con autoironia a un certo esoterismo ed è dominata, nonostante la struttura corale composta da attori tutti di ottimo livello, dalla figura del mago Cotrone (l’imponente e carismatico Emanuele Gabrieli), che governa come un abile burattinaio il caos di villa La Scalogna, ricordando tanto il Prospero shakespeariano, e della fragile contessa Ilse (la trascinante Chiara Oliviero), appesa alla vita da un filo sottile come la sua esile figura da ballerina.

Corredato di musiche raffinatissime e scene memorabili (tra tutte la danza della contessa e del suo conte su uno sfondo di lucciole e il teatrino dei fantocci) lo spettacolo scava talmente a fondo nella psiche e nei sentimenti più stratificati, da imporre poi agli attori di richiudere materialmente i molteplici sipari lasciati aperti sul palco, prima di giungere al misterioso e, forse, funesto epilogo: il temuto arrivo dei giganti dalla montagna.

 

data di pubblicazione 29/01/2015


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