UOMINI E TOPI – National Theatre Live (Of Mice and Men, regia di Anna D. Shapiro, 2014)

UOMINI E TOPI – National Theatre Live (Of Mice and Men, regia di Anna D. Shapiro, 2014)

Il bisogno di connettersi con gli altri.  Non stiamo parlando di social network, ma di ciò che entra in scena, attraverso la voce di uno dei protagonisti, nello spettacolo Uomini e Topi, trasmesso nei cinema italiani lo scorso 3 Marzo per la rassegna National Theater Live. Tratto dall’omonimo romanzo di Steinbeck, premio Nobel nel 1962 per le sue scritture realistiche e immaginative, unendo l’umore sensibile e la percezione sociale, lo spettacolo, sotto la direzione della regista teatrale Anna D. Shapiro, ci catapulta nella California degli anni successivi alla Grande Depressione, raccontandoci di un mondo in cui la sola cosa personale che uno ha è da dove viene e dove andrà. Il mito americano è già sbriciolato e i sogni accarezzati dagli uomini sono piccoli come topi e già aridi come la terra che quegli uomini devono coltivare per conto di altri. L’unica possibilità di sognare resta solo a chi è capace di farlo assieme a qualcun altro, a chi sa immaginare una casetta, con un po’ di terra, una stanza ciascuno, dei polli ma soprattutto dei conigli da far accudire a Lennie. George (interpretato dl poliedrico James Franco qui alla sua prima ed egregia prova a Broadway) si connette, condivide, si prende cura dell’amico, più debole perché affetto da un ritardo mentale: parla al suo posto, lo istruisce, cerca di tenerlo fuori dai guai. Ma Lennie si porta drammaticamente addosso, nella sua prorompente fisicità, la fragilità e la pericolosità dell’innocenza e ci regala, attraverso i gesti di una mano e lo sguardo sognante o spaventato che gli conferisce un magistrale Chris O’ Dowd (I Love Radio Rock, Le amiche della sposa, St. Vincent), il sapore dolce e straziante della tenerezza. Una sola striscia di cielo sembra trafiggere la scenografia, scarna e bellissima nella rappresentazione degli esterni, così come l’acqua taglia, nel suo scorrere, il palcoscenico, e costringe lo spettatore a guardare fisicamente e simbolicamente al di là di quel fiume su cui nasce e muore la vicenda.  Sul palcoscenico e negli occhi di chi guarda si materializza l’emozione e la commozione pura che solo una storia di uomini e di topi così magistralmente diretta e interpretata poteva regalare.

Prossimi appuntamenti di una rassegna ormai imperdibile: replica di Skylight – 24 Marzo, Medea – 7 Aprile, Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte – 5 Maggio. Non solo, ma ovviamente al Cinema Farnese Persol.

data di pubblicazione 05/03/2015


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SELMA di Ava DuVernay, 2015

SELMA di Ava DuVernay, 2015

statuetta

Uno dei grandi meriti del film Selma – della sua giovane regista Ava DuVerany e delle sue scelte – è di essere riuscito a porre l’attenzione su un momento storico cruciale, su un tema fondamentale e purtroppo ancor attuale nelle sue non realizzazioni, pur se in ambiti e contesti diversi, come quello dei diritti civili, senza scadere minimamente nella retorica, in un equilibrio efficace tra il racconto storico, la realizzazione cinematografica e il coinvolgimento emotivo. Il rischio era più che una probabilità, per un film che racconta delle battaglie per il diritto al voto dei cittadini neri e del loro culmine nella marcia partita da Selma, in Alabama, nella primavera del 1965, sotto la guida di Martin Luther King. Il racconto, invece, passa per l’emotività della causa, la violenza degli avvenimenti, l’asciuttezza e la lucidità del resoconto politico senza oltrepassare il confine della lacrima facile o semplicisticamente dei buoni o cattivi. Attraverso gli occhi, il volto e la memorabile interpretazione di David Oyelowo (già visto in Interstellar e Butler – un maggiordomo alla casa bianca ma soprattutto in Lincoln di Spielberg, in cui il suo personaggio chiede al presidente se i neri sarebbero stati in grado di votare da lì a 100 anni) ci viene restituita una figura di Martin Luther King complessa, nei suoi dubbi e nelle sue scelte di vita personale, oltre che di guida politica e spirituale, ma soprattutto di un uomo tra e con altri esseri umani, un uomo che identifichiamo con la sua battaglia ma emblema e figura di tutti gli altri uomini e donne in marcia dietro di lui. E proprio la possibilità di conoscere la complessità di un simile movimento, delle posizioni diverse al suo interno, delle divergenze, dei passi falsi, della presenza, poco raccontata in genere, anche delle donne, Coretta King e Annie Lee Cooper su tutte, dà senso di realtà alla battaglia, non la relega nel cantuccio dei fatti storici che facciamo finta di conoscere, ma la concretizza e la attualizza in maniera sorprendente. Le scelte tecniche, l’ambientazione al Sud, in Alabama, sullo stesso ponte Edmund Pettus su cui la marcia ebbe luogo, la scelta della luce naturale e del suo uso espressivo, ad opera del bravissimo direttore della fotografia Bradford Young, concorrono a fare di Selma un film elegante e potente. Ulteriore brivido di emozione sulle note del brano originale GLORY, cantato da John Legend e Common, premiato con l’Oscar 2015 per la miglior canzone. Da non perdere.


data di pubblicazione 24/02/2015


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IL SEGRETO DEL SUO VOLTO di Christian Petzold, 2015

IL SEGRETO DEL SUO VOLTO di Christian Petzold, 2015

Visto al Festival Internazionale del film di Roma 2014, esce nelle sale, a distanza di qualche mese, il nuovo film di Christian Petzold , Orso d’argento alla regia al Festival di Berlino del 2012 con  La scelta di Barbara. Il titolo italiano, Il segreto del suo volto, fa didascalicamente strage dell’evocazione suscitata invece dal titolo originale, Phoenix. La protagonista, Nelly, torna a Berlino con i segni della Storia sul volto, l’orrore di Auschwitz che la trasfigura.  L’operazione di chirurgia plastica che le restituisce un nuovo volto gioca con la questione dell’identità, non solo individuale ma di una nazione, di un popolo, quello tedesco, che si trova anch’esso, dopo la guerra, ad dover affrontare la deturpazione del proprio volto, della propria identità, anche nel suo essere e riconoscersi carnefice. Integra è invece l’identità profonda di Nelly che però si trova di fronte alla cecità (a tratti inverosimile) di un marito che non la riconosce nella sua nuova pelle. Un’incapacità di riconoscimento sublimata da una volontà tutta razionale e materiale, il desiderio di intascare l’eredità della moglie presunta morta. È così che colui che non vede (o non vuole vedere) il vero volto di Nelly prova a trasformarla a immagine e somiglianza di quella moglie presumibilmente inghiottita dalla Storia, suscitando immancabilmente nello spettatore l’eco di un Vertigo d’annata, spogliato di ogni finalità sentimentale. Molto raffinato il racconto per immagini, anche se a volte statico, nelle sue sublimazioni allegoriche. Gemma rara e preziosa il finale: la splendida Speak Low di Kurt Weil.



data di pubblicazione 20/02/2015


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PELI di Carlotta Corradi, regia Veronica Cruciani

PELI di Carlotta Corradi, regia Veronica Cruciani

(Teatro Argot Studio – Roma, 10 / 22 febbraio 2015)

Peli. Senza i quali gli uomini non sono tali. Peli per essere brutti, e di conseguenza, veri. Quando in scena finalmente appaiono i peli, liberati da tubini e perle d’ipocrisia borghese, la schermaglia verbale delle due donne protagoniste diventa lotta fisica tra i due uomini che vestono quei panni.  L’emozione, in scena e negli occhi del pubblico che gremisce il piccolo spazio del teatro Argot, si materializza davanti alla liberazione di due anime che entrano profondamente in contatto, una volta spoglie di parrucche e bugie pietose servite in una tazza di tè.  Sul tavolo si mescolano e si svelano le carte di un burraco che mette in gioco pinelle e due morali: la convenzionale, borghese, e quella eterna, che sta tutta intorno e al di sopra, come il paesaggio che ci avviluppa e il bel cielo azzurro che ci illumina, come dice Rodolphe in Madame Bovary.

L’applauso, lungo e inteso, che esplode e cresce, all’arrivo del buio finale in scena, rende  esplicita l’emozione intellettuale, prodotta dal testo scritto da Carlotta Corradi.  Le mani e il cuore continuano ad applaudire davanti alle intense e riuscite interpretazioni di Alex Cendron e Alessandro Riceci, sotto la guida di Veronica Cruciani.  L’invito è a non perdere l’occasione di lasciarsi coinvolgere, fino al 22 Febbraio 2015, al Teatro Argot.

data di pubblicazione 18/02/2015


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I GIOCATORI di Pau Mirò, traduzione e regia di Enrico Ianniello

I GIOCATORI di Pau Mirò, traduzione e regia di Enrico Ianniello

(Teatro Vascello, Roma – 12/15 e 19/22 Febbraio 2015)

La scatola nera non è solamente quella da cui o’ professore, interpretato da Renato Carpentieri, tira fuori, prima di buttarli via, i ricordi di un padre ingombrante.  Lo spazio scenico in cui si muovono i protagonisti è al tempo stesso scatola nera, registrazione dei fallimenti di quattro vite che si aggirano in quel luogo, quasi vuoto del piccolo mobilio – un tavolo, un frigorifero, una poltrona, un giradischi, una lampada – ma colmo del residuo di umanità che i giocatori depongono sulle sedie.

La vivacità della lingua napoletana viene smorzata dai neri che scandiscono il tempo che passa, cristallizzando il ricordo delle singole scene in una sorta di tableu vivant. Le maschere dei protagonisti non sono quelle dell’Uomo ragno e di Batman, che pur compaiono in scena, ma uomini senza nome, senza amore, giocatori di una partita che non comincia mai, alla ricerca di un brivido: davanti allo yogurt di un supermercato, tra le braccia di una leggenda ucraina, in una scatola nera o dietro un mucchio di capelli persi. Ma il testo, nella sua traduzione dalla lingua catalana a cura dello stesso regista e attore, Enrico Ianniello, gioca con la tragicità dei contenuti riempiendo una forma ironica. L’inevitabile resa comica del linguaggio, anche più triviale, la poesia della fragilità, le grandi caratterizzazioni dei quattro attori (Tony Laudadio e Luciano Saltarelli, oltre ai già citati Carpentieri e Ianniello) regalano un sorriso lieve e commovente.

Lo spettacolo, premio Ubu 2013, è al centro del Focus che il Teatro Vascello dedica, dal 12 al 22 Febbraio, a Teatri Uniti, il laboratorio permanente per la produzione e lo studio dell’arte scenica contemporanea, attualmente sotto la direzione artistica di Toni Servillo. Ianniello è alla seconda traduzione e messa in scena di un testo del drammaturgo catalano Pau Mirò, un autore conosciuto, come lo stesso regista ci ha raccontato, scegliendo tra dieci testi a lui proposti per effettuarne la traduzione. E gli spettatori italiani ringraziano per la condivisione della scoperta, per la sua traduzione e anche per un pugno metronomo che, balbettando, prova ancora a giocare: Rouge et Noir!

data di pubblicazione 14/02/2015


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