da Antonella Massaro | Mag 1, 2023
Le storie di cinque donne si intrecciano sul palcoscenico della lotta tra Stato e ‘Ndrangheta, restituendo un affresco realistico e “non spettacolare” della criminalità organizzata e delle dinamiche che tengono in piedi un mondo parallelo basato sulla solidità delle relazioni familiari.
La ‘Ndrangheta è un fenomeno criminale fondato sulla “famiglia”, che, intesa anzitutto come vincolo di sangue, enfatizza il concetto di “lealtà”, rendendo estremamente limitato, negli scorsi decenni, il fenomeno dei collaboratori di giustizia. Negli ultimi anni sembra che i dati stiano subendo una graduale inversione di tendenza, facendo registrare un progressivo aumento dei “pentiti di ‘Ndrangheta”.
The Good Mothers racconta, in maniera delicata, profonda e mai banale, uno dei talloni d’Achille della mafia calabrese. ‘Ndrangheta significa “famiglia”, a sua volta intesa come la cellula elementare di una società di chiaro stampo patriarcale, in cui le donne sono ridotte a mere esecutrici degli ordini del marito, del fratello o del cognato, sulla base di matrimoni ispirati da strategie di alleanze o, semplicemente, dall’esigenza di rendere inoffensiva, il prima possibile, una ragazza che pretenda di far valere la propria autonomia.
Anna Colace (Barbara Chichiarelli), sostituto procuratore della direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, è convinta che proprio intercettando l’insoddisfazione e la rabbia delle donne che, in fondo, vogliono solo essere delle “buone madri”, si possa affondare il colpo decisivo al cuore di un’organizzazione criminale fortemente radicata nelle viscere del suo territorio.
La storia di Lea Garofalo (Micaela Ramazzotti), che ha scelto la strada della collaborazione con la giustizia, esponendo se stessa e sua figlia Denise Cosco (Gaia Girace) a una vita di fuga e di isolamento, dimostra chiaramente quanto dolorosa possa rivelarsi la “via della liberazione”, anche a causa di uno Stato che non sempre riesce a tutelare i suoi cittadini più vulnerabili.
La dottoressa Colace punta tutto su Giuseppina Pesce (una straordinaria Valentina Bellè): una donna che, sebbene più capace di tutti gli uomini della sua famiglia, si trova costretta a un ruolo gregario, nell’organizzazione e nella vita privata.
Anche il marito di Maria Concetta Cacciola (Simona Distefano), come quello di Giuseppina, è in carcere: sua moglie è costretta ad aspettarlo e a rispettarlo, subendo maltrattamenti dolorosi e umilianti da parte di una famiglia preoccupata solo di “salvare l’onore”.
Denise, raccogliendo il testimone scomodo e ingombrante di Lea Garofalo, sceglie di non rassegnarsi, seguendo quella via di speranza, di coraggio e di riscatto che, in un paese civile, non dovrebbe più rappresentare un atto di estremo e temerario eroismo.
The Good Mothers, basato dall’omonimo romanzo di Alex Perry, vince la prima edizione dei Berlinale Series Award. La scrittura, la regia, la fotografia e il cast compongono un mosaico convincente e coinvolgente, che, pur lontano dai toni “epici” di Gomorra e di Suburra, restituisce un affresco credibile di una criminalità spesso silenziosa, che fonda la propria pretesa invincibilità sull’indifferente accettazione di modelli socio-culturali tanto radicati quanto inaccettabili.
Dal 5 aprile 2023 The Good Mothers è disponibile, in sei episodi, su Disney+ e su Hulu per il mercato statunitense.
data di pubblicazione: 01/05/2023
da Antonella Massaro | Apr 18, 2023
Una giovane ragazza, un legame affettivo che si traduce in un controllo ossessivo e manipolatorio, l’impotenza di fronte a quella logica del possesso che conduce alla inevitabile distruzione della “propria” donna.
Mia (Greta Gasbarri) sta vivendo la sua adolescenza in modo straordinariamente normale: il liceo, la pallavolo, le feste con gli amici, uno spesso strato di rossetto sulle labbra, i balletti su Tik Tok. Suo padre Sergio (Edoardo Leo) e sua madre Valeria (Milena Mancini) osservano la loro bambina mentre diventa una donna, cercando di mantenere quella “distante vicinanza” che, a fatica, raggiunge il suo punto di equilibrio. Quando nella vita di Mia irrompe Marco (Riccardo Mandolini), la quiete già precaria, che il “capofamiglia” Sergio si sforza di preservare a tutti i costi, viene spazzata via da una tempesta tanto inattesa quanto furiosa. Marco ha già vent’anni, esibisce il fascino dell’esperienza e in poco tempo riesce a legare a sé Mia. Il suo, però, è solo un insano desiderio di possesso e di controllo, che finirà per trascinare Mia e la sua famiglia in un vortice distruttivo e asfissiante, fatto di annullamento, senso di colpa, rabbia e vergogna.
Come con Gli equilibristi e I nostri ragazzi, Ivano De Matteo porta in scena il cinema che si confronta con temi politico-sociali, raccontando una contemporaneità spesso distorta dai toni di certe narrazioni qualunquiste. Un tema importante, quello raccontato da Mia, anche se il film non risulta sempre all’altezza della sfida. La scrittura, a tratti forse frettolosa e ingenua, indulge a qualche stereotipo di troppo, restituendo l’impressione, specie nella prima parte del film, di restare spesso in superficie rispetto a dinamiche e a personaggi che avrebbero meritato di essere scandagliati in maniera meno prevedibile. Quell’aggettivo possessivo “Mia”, che campeggia nel titolo, sintetizza troppo efficacemente lo sviluppo del film, che quasi mai riesce a cogliere veramente di sorpresa lo spettatore.
Sebbene il finale ceda a una spettacolarizzazione non del tutto necessaria, è significativo che proprio in questo momento facciano la loro comparsa lo Stato, il codice penale e le sentenze pronunciate “in nome del popolo italiano”, ma non, questo è il punto, per “rendere giustizia” a Mia.
Resta da accogliere con favore la scelta del cinema italiano di confrontarsi con il fenomeno della violenza contro le donne, ricettacolo e amplificatore di quegli stereotipi di genere che solo un dibattito pubblico serio e consapevole può contribuire a lasciar emergere, alimentando la speranza, forse utopica, di una sfida che si riesca a vincere più sul piano culturale che su quello giuridico-penale.
Una “menzione di merito” va, infine, alla città di Roma, che, con la maestosità popolare di Trastevere e Testaccio, si trasforma nel teatro perfetto di una storia come tante altre, eppure da ogni altra differente.
data di pubblicazione: 18/04/2023
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da Antonella Massaro | Mar 14, 2023
Everything Everywhere All at Once, secondo molti pronostici, ma anche con qualche scetticismo, è l’autentico trionfatore della notte degli Oscar 2023. Il film di Daniel Kwan e Daniel Scheinert si aggiudica sette delle statuette più prestigiose: miglior film, miglior regia, miglior attrice protagonista (Michelle Yeoh), migliore attrice non protagonista (Jamie Lee Curtis), miglior attore non protagonista (Ke Huy Quan), miglior sceneggiatura non originale e miglior montaggio.
Nell’Olimpo dei premi più ambiti si ritaglia il suo posto Brendan Frase, per la sua commovente interpretazione in The Whale di Darren Aronofsky
La migliore sceneggiatura non originale è quella di Sarah Polley per Women Talking – Il diritto di scegliere.
Avatar – La via dell’acqua porta a casa i migliori effetti visivi.
Il miglior film d’animazione, invece, è Pinocchio di Guillermo del Toro.
Nessun risultato positivo per gli italiani in gara: Alice Rohrwacher, candidata con il cortometraggio Le pupille, e Aldo Signoretti, nella categoria del miglior trucco.
Qui di seguito la lista completa delle canditature e dei premi!
Miglior film
Everything Everywhere All at Once, regia di Daniel Kwan e Daniel Scheinert
Avatar – La via dell’acqua (Avatar: The Way of Water), regia di James Cameron
Gli spiriti dell’isola (The Banshees of Inisherin), regia di Martin McDonagh
Elvis, regia di Baz Luhrmann
Niente di nuovo sul fronte occidentale (Im Westen nichts Neues), regia di Edward Berger
The Fabelmans, regia di Steven Spielberg
Tár, regia di Todd Field
Top Gun: Maverick, regia di Joseph Kosinski
Triangle of Sadness, regia di Ruben Östlund
Women Talking – Il diritto di scegliere (Women Talking), regia di Sarah Polley
Miglior regista
Daniel Kwan e Daniel Scheinert – Everything Everywhere All at Once
Martin McDonagh – Gli spiriti dell’isola (The Banshees of Inisherin)
Steven Spielberg – The Fabelmans
Todd Field – Tár
Ruben Östlund – Triangle of Sadness
Miglior attore protagonista
Brendan Fraser – The Whale
Austin Butler – Elvis
Colin Farrell – Gli spiriti dell’isola (The Banshees of Inisherin)
Paul Mescal – Aftersun
Bill Nighy – Living
Miglior attrice protagonista
Michelle Yeoh – Everything Everywhere All at Once
Cate Blanchett – Tár
Ana de Armas – Blonde
Andrea Riseborough – To Leslie
Michelle Williams – The Fabelmans
Miglior attore non protagonista[modifica | modifica wikitesto]
Ke Huy Quan – Everything Everywhere All at Once
Brendan Gleeson – Gli spiriti dell’isola (The Banshees of Inisherin)
Brian Tyree Henry – Causeway
Judd Hirsch – The Fabelmans
Barry Keoghan – Gli spiriti dell’isola (The Banshees of Inisherin)
Miglior attrice non protagonista
Jamie Lee Curtis – Everything Everywhere All at Once
Angela Bassett – Black Panther: Wakanda Forever
Hong Chau – The Whale
Kerry Condon – Gli spiriti dell’isola (The Banshees of Inisherin)
Stephanie Hsu – Everything Everywhere All at Once
Migliore sceneggiatura originale
Daniel Kwan e Daniel Scheinert – Everything Everywhere All at Once
Martin McDonagh – Gli spiriti dell’isola (The Banshees of Inisherin)
Steven Spielberg e Tony Kushner – The Fabelmans
Todd Field – Tár
Ruben Östlund – Triangle of Sadness
Migliore sceneggiatura non originale
Sarah Polley – Women Talking – Il diritto di scegliere (Women Talking)
Edward Berger, Lesley Paterson e Ian Stokell – Niente di nuovo sul fronte occidentale (Im Westen nichts Neues)
Rian Johnson – Glass Onion – Knives Out (Glass Onion: A Knives Out Mystery)
Kazuo Ishiguro – Living
Ehren Kruger, Eric Warren Singer e Christopher McQuarrie – Top Gun: Maverick
Miglior film internazionale
Niente di nuovo sul fronte occidentale (Im Westen nichts Neues), regia di Edward Berger (Germania)
Argentina, 1985, regia di Santiago Mitre (Argentina)
Close, regia di Lukas Dhont (Belgio)
EO, regia di Jerzy Skolimowski (Polonia)
The Quiet Girl, regia di Colm Bairéad (Irlanda)
Miglior film d’animazione
Pinocchio di Guillermo del Toro (Guillermo del Toro’s Pinocchio), regia di Guillermo del Toro e Mark Gustafson
Marcel the Shell (Marcel the Shell with Shoes On), regia di Dean Fleischer-Camp
Il gatto con gli stivali 2 – L’ultimo desiderio (Puss in Boots: The Last Wish), regia di Joel Crawford
Il mostro dei mari (The Sea Beast), regia di Chris Williams
Red (Turning Red), regia di Domee Shi
Miglior montaggio
Paul Rogers – Everything Everywhere All at Once
Mikkel E. G. Nielsen – Gli spiriti dell’isola (The Banshees of Inisherin)
Matt Villa e Jonathan Redmond – Elvis
Monika Willi – Tár
Eddie Hamilton – Top Gun: Maverick
Miglior scenografia
Christian M. Goldbeck ed Ernestine Hipper – Niente di nuovo sul fronte occidentale (Im Westen nichts Neues)
Dylan Cole, Ben Procter e Vanessa Cole – Avatar – La via dell’acqua (Avatar: The Way of Water)
Florencia Martin e Anthony Carlino – Babylon
Catherine Martin, Karen Murphy e Bev Dunn – Elvis
Rick Carter e Karen O’Hara – The Fabelmans
Miglior fotografia
James Friend – Niente di nuovo sul fronte occidentale (Im Westen nichts Neues)
Darius Khondji – Bardo, la cronaca falsa di alcune verità (Bardo, False Chronicle of a Handful of Truths)
Mandy Walker – Elvis
Roger Deakins – Empire of Light
Florian Hoffmeister – Tár
Migliori costumi
Ruth E. Carter – Black Panther: Wakanda Forever
Mary Zophres – Babylon
Catherine Martin – Elvis
Shirley Kurata – Everything Everywhere All at Once
Jenny Beavan – La signora Harris va a Parigi (Mrs. Harris Goes to Paris)
Miglior trucco e acconciatura
Adrien Morot, Judy Chin e Anne Marie Bradley – The Whale
Heike Merker e Linda Eisenhamerová – Niente di nuovo sul fronte occidentale (Im Westen nichts Neues)
Naomi Donne, Mike Marino e Mike Fontaine – The Batman
Camille Friend e Joel Harlow – Black Panther: Wakanda Forever
Mark Coulier, Jason Baird e Aldo Signoretti – Elvis
Migliori effetti visivi
Joe Letteri, Richard Baneham, Eric Saindon e Daniel Barret – Avatar – La via dell’acqua (Avatar: The Way of Water)
Frank Petzold, Viktor Müller, Markus Frank e Kamil Jafar – Niente di nuovo sul fronte occidentale (Im Westen nichts Neues)
Dan Lemmon, Russell Earl, Anders Langlands e Dominic Tuohy – The Batman
Geoffrey Baumann, Craig Hammack, R. Christopher White e Dan Sudick – Black Panther: Wakanda Forever
Ryan Tudhope, Seth Hill, Bryan Litson e Scott R. Fisher – Top Gun: Maverick
Miglior sonoro
Mark Weingarten, James H. Mather, Al Nelson, Chris Burdon e Mark Taylor – Top Gun: Maverick
Victor Prasil, Frank Kruse, Markus Stemler, Lars Ginzel e Stefan Korte – Niente di nuovo sul fronte occidentale (Im Westen nichts Neues)
Julian Howarth, Gwendolin Yates Whittle, Dick Bernstein, Christopher Boyes, Gary Summers e Michael Hedges – Avatar – La via dell’acqua (Avatar: The Way of Water)
Stuart Wilson, William Files, Douglas Murray e Andy Nelson – The Batman
David Lee, Wayne Pashley, Andy Nelson e Michael Keller – Elvis
Migliore colonna sonora originale
Volker Bertelmann – Niente di nuovo sul fronte occidentale (Im Westen nichts Neues)
Justin Hurwitz – Babylon
Carter Burwell – Gli spiriti dell’isola (The Banshees of Inisherin)
Son Lux – Everything Everywhere All at Once
John Williams – The Fabelmans
Migliore canzone originale
Naatu Naatu (musiche di M. M. Keeravani; testo di Chandrabose) – RRR
Applause (musiche e testo di Diane Warren) – Tell It Like a Woman
Hold My Hand (musiche e testo di Lady Gaga e BloodPop) – Top Gun: Maverick
Lift Me Up (musiche di Tems, Rihanna, Ryan Coogler e Ludwig Göransson; testo di Tems e Ryan Coogler) – Black Panther: Wakanda Forever
This Is a Life (musiche di Ryan Lott, David Byrne e Mitski; testo di Ryan Lott e David Byrne) – Everything Everywhere All at Once
Miglior documentario
Navalny, regia di Daniel Roher
All That Breathes, regia di Shaunak Sen, Aman Mann e Teddy Leifer
Tutta la bellezza e il dolore – All the Beauty and the Bloodshed (All the Beauty and the Bloodshed), regia di Laura Poitras, Howard Gertler, John Lyons, Nan Goldin e Yoni Golijov
Fire of Love, regia di Sara Dosa, Shane Boris e Ina Fichman
A House Made of Splinters, regia di Simon Lereng Wilmont e Monica Hellstrom
Miglior cortometraggio documentario
Raghu, il piccolo elefante (The Elephant Whisperers), regia di Kartiki Gonsalves e Guneet Monga
Haulout, regia di Evgenia Arbugaeva e Maxim Arbugaev
How Do You Measure a Year?, regia di Jay Rosenblatt
L’effetto Martha Mitchell (The Martha Mitchell Effect), regia di Anne Alvergue e Beth Levison
Stranger at the Gate, regia di Joshua Seftel e Conall Jones
Miglior cortometraggio
An Irish Goodbye, regia di Tom Berkely e Ross White
Ivalu, regia di Anders Walter e Rebecca Pruzan
Le pupille, regia di Alice Rohrwacher
Nattriken, regia di Eirik Tveiten e Gaute Lid Larssen
The Red Suitcase, regia di Cyrus Neshvad
Miglior cortometraggio d’animazione
Il bambino, la talpa, la volpe e il cavallo (The Boy, the Mole, the Fox and the Horse), regia di Charlie Mackesy e Matthew Freud
The Flying Sailor, regia di Amanda Forbis e Wendy Tilby
Ice Merchants, regia di João Gonzalez e Bruno Caetano
My Year of Dicks, regia di Sara Gunnarsdottir e Pamela Ribbon
An Ostrich Told Me the World Is Fake and I Think I Believe It, regia di Lachlan Pendragon
da Antonella Massaro | Gen 3, 2023
Un miliardario egocentrico e megalomane, un gruppo di “amici-nemici”, un’assolata isola greca: il teatro perfetto per una “cena con delitto” che, da gioco di ruolo, diviene autentica scena del crimine, con l’immancabile e infallibile detective pronto a dipanare la trama del giallo.
Dopo Cena con delitto, Rian Johnson torna a dirigere le indagini del detective Benoit Blanc, interpretato da Daniel Craig, con un film che, fin da subito, appare non tanto come un sequel del precedente quanto piuttosto come una sua (tentata) evoluzione.
Maggio 2020. La pandemia da Covid-19 ha già catapultato il mondo nell’universo parallelo del lavoro a distanza, delle mascherine e degli abbracci pericolosi. Il miliardario Miles Bron (un magistrale Edward Norton) invita su un’isola greca il suo gruppo di amici storici: “i disgregatori”, una compagnia assortita di uomini e donne disposti a mettersi in gioco pur di sfidare le convenzioni. La ragione dell’invito è all’apparenza banale e innocua. Miles ha organizzato una “cena con delitto”, una messa in scena del suo omicidio, un gigantesco Cluedo da risolvere secondo le regole tradizionali del gioco di ruolo. Un omicidio, però, si consuma davvero nel teatro luccicante e megalomane del Glass Onion, la sontuosa residenza volta da Miles che prende il nome dalla celebre canzone dei Beatles. Spetterà a Benoit Blanc, il glaciale e implacabile detective annoiato dalla pandemia, risolvere l’enigma, a fronte di una platea di potenziali assassini che sono tutti forniti di “movente” e “opportunità”.
Il registro, almeno in superficie, sembra quello canonico del genere giallo à la Agatha Christie. Unità di tempo, spazio e luogo, un gruppo ristretto di persone tutte sospettate e sospettabili, l’acume dell’investigatore che riesce a rendere ovvie le cose complicate. Scavando più in profondità, tuttavia, l’impressione è quella di trovarsi di fronte a una parodia, tanto del giallo quanto, più in generale, dello spaccato socio-culturale portato sullo schermo da Glass Onion. Miles, da regista di sontuose messe in scene, rivela ben presto la sua pochezza, circondato da caricature grottesche di figuranti egocentrici: i disgregatori, in realtà, sono biechi conformisti, attaccati più alle “tette d’oro” di Miles che a un ideale da realizzare. Anche il registro del racconto è dichiaratamente “pop”, senza alcuna solennità legata alla complessità di un’indagine, che, in fondo, così complessa non è. Lo spettatore intuisce subito di trovarsi immerso in una cipolla di vetro: tanti strati sovrapposti, ma trasparenti, in cui tutto è in bella vista per chi decida di “vederci chiaro”.
Il cast, oltre a Daniel Craig e Edward Norton, può contare su Dave Bautista, Janelle Monáe, Jessica Henwick, Kate Hudson, Kathryn Hahn, Leslie Odom Jr. e Madelyn Cline, tutti adeguati al ruolo.
Il film è nel complesso gradevole, anche se forse l’intento di desacralizzazione è portato troppo oltre e finisce per diventare inutilmente strabordante.
data di pubblicazione: 3/12/2023
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