ARANCIA MECCANICA di Anthony Burgess, regia Gabriele Russo, musiche Morgan

28 Apr 2016 | Accredito Teatro

(Teatro Eliseo – Roma, 26 Aprile/15 Maggio 2016)

Meglio liberi di scegliere la malvagità o costretti a condurre una vita integerrima?

È questo l’interrogativo che attanaglia Alex DeLarge, l’arcinoto leader dei Drughi (banda di teppisti dediti all’ultra-violenza). Di fronte alla scelta tra sperimentare una cura rieducativa o scontare 14 anni di prigione per essersi macchiato di omicidio, opterà per la prima che, in realtà, si rivelerà essere una forma di punizione alternativa con le sembianze del contrappasso: obtorto collo dovrà guardare immagini violente fino a che non gli susciteranno il disgusto; persino la musica di Beethoven, da lui amata, per riflesso pavloviano gli provocherà dei dolori lancinanti che lo dissuaderanno dal compiere le azioni più efferate.

L’adattamento teatrale del romanzo scritto dallo stesso Anthony Burgess è tuttora di stringente attualità: sia per la recente recrudescenza degli episodi di bullismo — ne è la dimostrazione il “knockout game” (aggressioni improvvise da parte di adolescenti a ignari passanti) — sia per il tema di sovraffollamento carceri e le costanti questioni relative alla funzione della pena — da un punto di vista morfologico e preventivo.

Nello spettacolo messo in scena da Gabriele Russo ogni ingranaggio si muove alla perfezione: scenografia, luci, costumi, attori e musiche s’intersecano dando la possibilità agli spettatori di godere una succulenta arancia meccanica.

A differenza delle polemiche suscitate oltremanica dal realismo esasperato — portato in scena al Royal Opera House da Katie Mitchell (che ha causato persino svenimenti tra il pubblico) — in questo caso le scene di sesso e violenza sono rese efficacemente attraverso il ricorso a suoni, movimenti a rallentatore e alla mimica facciale. Sotto questo punto di vista, esaltante è la scena in cui Alex afferma la sua leadership nei confronti dei compagni: si dimena e scuote il suo corpo al ritmo della musica classica che risuona nella sua mente e, sullo sfondo, Dim e Georgie si contorcono dal dolore per i colpi (virtuali) ricevuti: come se un direttore d’orchestra iniziasse a trafiggere con la sua bacchetta delle bambole voodoo. Non è peraltro l’unica scena significativa, lo scenografo Roberto Crea riesce a stupire in quasi tutte le situazioni e, in particolare, nell’ambientazione della scena in cui i Drughi fanno irruzione nella casa dello scrittore abusando della moglie. Per ricreare questa situazione, lo sceneggiatore campano offre allo spettatore una visuale dall’alto della casa, attraverso un tetto trasparente che permette di vedere ciò che sta accadendo nelle quattro mura; e, mentre la violenza si compie al rallentatore, la casa si muove lentamente verso la platea, e le luci all’interno della stessa cambiano passando da un candido bianco a un rosso sangue: un effetto stupefacente, come quello provocato dalle droghe utilizzate dai protagonisti.

A rendere l’atmosfera dell’opera ancor più sconvolgente è il sapiente utilizzo delle luci da parte di Salvatore Palladino: l’illuminazione stroboscopica e psichedelica esalta lo stato d’animo intermittente e cangiante dei tre dissoluti ragazzi. Tra i diversi tipi di luce adoperati, degno di nota è il ricorso a un fascio di luci rotanti, ottenuto sfruttando il riflesso di una barra luminosa orizzontale sospesa sul palco, che rende adeguatamente l’algida atmosfera del penitenziario in cui è rinchiuso Alex.

Se nei diversi ambienti in cui si svolge lo spettacolo prevale la luce fredda, domina invece il giallo per i costumi curati da Chiara Aversano. Il giallo è il colore che contraddistingue tutti i personaggi: è presente nelle scarpe dei Drughi (a suggellare il loro temperamento bilioso), ma è anche il vestito della Ministra e la maglietta dello psichiatra hanno la stessa tonalità — quasi a voler dimostrare che l’indole malvagia è insita in ognuno di noi. Per dare un taglio più moderno all’opera, inoltre, la costumista romana veste Alex e i suoi compagni con degli eleganti smoking, abbinando ai completi delle pellicce per rivelare i loro istinti animali.

Trascinante e sconvolgente (verrebbe da scrivere animalesca) è l’interpretazione di Alex da parte di Daniele Russo, coadiuvato dalle performance di Sebastiano Gavasso (Dim) e Alessio Piazza (Georgie), abili nel supportare il carismatico attore napoletano in un ruolo intenso e provante; non da meno le prove attoriali degli altri elementi del cast messo a punto dalla Fondazione Teatro di Napoli.

Non può mancare un riferimento alla colonna portante del film, che non a caso è quella sonora. Il ritornello incalzante “che succederà” della suite di Morgan accompagna la rappresentazione e contribuisce ad acuire lo stato di trepidazione dello spettatore rispetto agli eventi. Con il proseguire della messinscena, il mélange di suoni elettronici con quelli del pianoforte sbiadisce i confini tra musica classica e contemporanea, rendendoli sempre più labili come quelli di un insieme frattale. Allo stesso modo il confine tra malvagio e benevolo finisce per svanire: Alex da carnefice viene dalla stessa società strumentalizzato per soddisfare i biechi scopi politici. E allora emergono con ancor più vigore le parole di Fëdor Dostoevskij riguardo alla dicotomia tra bene e male:

“Non c’è niente di più facile che condannare un malvagio, niente di più difficile che capirlo”

data di pubblicazione: 28/04/2016


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1 commento

  1. Grazie mille!

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