ANITA EKBERG: LA SOLITUDINE DEL MITO

Quando Fellini la vide per la prima volta avanzare nei giardini del l’Hotel De La Ville a Roma, raccontò di aver provato quel senso di meraviglia, di stupore rapito, di incredulità, che si prova di fronte alle creature eccezionali, come la giraffa, l’elefante, il baobab…. Visione sconvolgente e perturbante – tutto ciò che le stava intorno, sbiadiva come ombre attorno a una sorgente luminosa…– racconta ancora il regista.
Quella gloria di divinità elementare schiuse nella fantasia del grande artista visioni destinate a diventare mito, immagini potenti, inedite, modernissime e ancestrali: incarnazione del Femminile, accarezzando quella frangia d’acqua della fontana di Trevi come un’arpa ammaliatrice, richiamò a sé, oltre all’attonito Marcello, il pubblico di tutto il mondo.
E così la giunonica svedese, la pin-up girl hollywoodiana, da poco consacrata al grande cinema con la partecipazione al film Guerra e Pace di King Vidor, sbaragliando ogni moralistica resistenza entra prepotentemente nell’immaginario collettivo come un’epifania di bellezza rigeneratrice: quel gesto semplice e spontaneo di raccogliere poche gocce d’acqua e come in un battesimo pagano versarle poi sul capo dell’uomo che le sta di fronte, diventa l’espressione di una, seppur fuggevole, possibilità di riconciliazione e armonizzazione con la bellezza del mondo.
È solo un attimo, un fremito illusorio, un istante eterno, ma da quell’attimo-eterno, come un raro e preziosissimo esemplare di farfalla, Anita Ekberg resta infilzata come dallo spillone di un entomologo che, sottraendola alla vita, la condanna precocemente all’immortalità.
Toccata dalla potenza del genio, con La dolce vita, la Ekberg raggiunge un iperbole di “rappresentazione di sé” che non le consentirà più di trovare la misura giusta ad esprimere le sue potenzialità di interprete e di attrice internazionale.
Sull‘onda lunga di quel travolgente successo, non può che auto-consacrarsi rappresentando se stessa nel divertente e irriverente sberleffo ai censori de La dolce vita che è l’episodio Le tentazioni del dottor Antonio del film Boccaccio 70, quindi, nella seconda metà degli anni ‘60, diventata cittadina italiana, partecipa a diverse produzioni internazionali e italiane, ma nessuna degna di nota.
Dopo una fuggevole apparizione, dove è ancora se stessa al seguito del Circo Orfei ne I Clown di Fellini, gli anni settanta le offrono solo ruoli in filmetti di genere, dove la sua “abbondante bellezza”, la sua imponete fisicità si afferma come il malinconico simulacro di uno sfiorito sex symbol sul viale del tramonto.
Ed è sempre sul filo di una malinconica nostalgia che si ripropone al pubblico la sua presenza in trasmissioni televisive commemorative, in interviste celebrative di un passato che sembra aver profondamente segnato la sua esistenza di donna sola, ora approdata ad una vita appartata, lontana dai riflettori, nella campagna romana, in compagnia dei sui cani.
Ma sarà ancora una volta nelle mani del grande demiurgo, che il suo mito riprenderà vita in alcune brevi, ma sempre memorabili sequenze cinematografiche, in cui realtà e fantasia, vita e rappresentazione si rincorrono e attraverso un reciproco riflettersi, si riconoscono.
E’ il set del film Intervista del 1987, e nella sua casa solitaria il grande regista la ritroverà: imponente e superba come un gladiatore, aprirà le porte a quella piccola troupe e un Mastroianni-Mandrake compirà il magico prodigio…: Oh bacchetta di Mandrake..il mio ordine è immediato….fai tornare i bei tempi del passato!!…
La sua luminosa bellezza riempie ancora lo schermo, per un attimo tutto resta sospeso, solo poche note dell’inconfondibile musica, poi tra volti rapiti e occhi velati, la voce di Marcello: – tu sei la prima donna del primo giorno della creazione…la madre, la sorella, l’angelo, il diavolo, la terra…la casa… ecco sì…sei la casa!

data di pubblicazione 11 /01/2015

1 commento

  1. è il più bell’omaggio che ho letto in una palude di banalità.

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