66. INTERNATIONALE FILMFESTSPIELE BERLIN – TERZA GIORNATA

(Berlino, 11/21 febbraio 2016)

In questo terzo giorno di proiezioni, è bastato il film italiano di apertura per rimettere su una buona carreggiata l’andamento delle pellicole in Concorso alla Berlinale. Il regista Gianfranco Rosi, con il suo documentario Fuocoammare, ha puntato direttamente al cuore del pubblico che, a fine spettacolo, ha manifestato il proprio assenso con un prolungato applauso. L’isola di Lampedusa, più vicina alle coste libiche che a quelle siciliane, rappresenta metaforicamente per i migranti africani il punto di arrivo, ma anche quello di partenza, per iniziare una nuova vita e guadagnarsi la dignità di uomini. Tutto viene visto attraverso l’occhio attento di Samuele, un isolano di dodici anni, poco avvezzo ai libri scolastici ma molto svelto ad usare la fionda perché, come lui stesso con grande saggezza afferma, solo con passione si possono affrontare le grandi e piccole cose della vita. Il pubblico non può che lasciarsi affascinare dalla delicatezza del film e nello stesso tempo non può che sentirsi un poco in colpa per aver forse evitato, con inconsapevole determinazione, di prendere coscienza della più grande tragedia umana che si sta perpetuando. Ecco dunque che questo nuovo documentario di Rosi, dopo il grande successo di Sacro Gra premiato a Venezia nel 2013 con il Leone d’Oro, diventa un messaggio politico verso coloro che ignorano il problema o, peggio ancora, verso chi preferisce che siano gli altri ad affrontarlo, scrollandosi di dosso ogni tipo di responsabilità. Ottima la fotografia curata dallo stesso regista che ci ha fatto entrare concretamente nella realtà dell’isola: qui non c’è finzione, ma ogni cosa è vera ed il linguaggio cinematografico usato è di altissimo livello. Non ci sarebbe da stupirsi se il film riuscirà ad ottenere dalla giuria quel riconoscimento che senza ombra di dubbio merita.

Secondo della giornata L’avenir della regista francese Mia Hansen-Løve. La pellicola tratta dei problemi generazionali che Nathalie (Isabelle Huppert), professoressa di filosofia in un liceo parigino, deve affrontare con gli studenti e le persone a lei care: nel film sembra che il mondo, che ruota attorno alla protagonista, non scalfisca minimamente le sue convinzioni piccolo borghesi ed alquanto intellettualoidi, che la portano ad evitare il confronto con una realtà che certamente le risulta scomoda. A conferire all’intera narrazione una buona dose di credibilità è l’interpretazione della bravissima Isabelle Huppert.

Terzo ed ultimo film in Concorso è stato Mahana (The Patriarch), del regista neozelandese Lee Tamahori, che tratta della disputa tra due famiglie maori rivali, e del rigido ed inoppugnabile potere di comando che il capostipite esercita su tutti i componenti del nucleo familiare. Solo il nipote quattordicenne Simeon, grazie ad una ferma convinzione per ciò che egli ritiene giusto, avrà la forza di fronteggiare il nonno sgretolando pian piano quella gerarchia patriarcale oramai obsoleta. Buona l’ambientazione così come il cast per la maggior parte costituito da attori maori, che ci traghettano in una realtà a molti di noi sconosciuta, dove la tradizione e la coesione domestica sembrano costituire le fondamenta dell’organizzazione sociale di un intero popolo.

data di pubblicazione:14/02/2016








1 commento

  1. Avevo apprezzato il film di Rosi; e ho sentito una bella intervista a Radio del regista. Le poche immagini viste mi hanno fatto pensare a questa strana nostra condizione umana per cui ogni secolo deve inventare un sistema di schiavismo con relativo infame trasporto

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